Ha incontrato i giovani lametini il sostituto procuratore della Procura Generale di Catanzaro Marisa Manzini, per riflettere non solo sul fenomeno della ‘ndrangheta ma anche sulla figura delle donne all’interno dell’organizzazione criminale. La manifestazione, che si è svolta in occasione della Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza sulle donne, è stata organizzata dall’Agesci Zona del Reventino, dall’Azione cattolica italiana, dalla Pastorale giovanile, dal Soroptimist club di Lamezia e dal Civico Trame.
Tante le domande che i ragazzi hanno posto al magistrato antimafia, moderato dalla giornalista Luigina Pileggi. “Bisognerebbe introdurre nelle scuole una materia sulla criminalità organizzata – ha detto il sostituto procuratore Marisa Manzini parlando ai ragazzi -in modo da rompere tutti i tabù e parlare di un fenomeno che è presente nella nostra terra e che non più essere sottaciuto. La scuola ha un ruolo fondamentale nella formazione della vita di ogni persona, ecco perchè occorre soprattutto combattere la cultura mafiosa, quella rappresentazione di potenza su territori e persone, che calpesta la dignità degli individui. Bisognerebbe aprire le porte delle scuole ai protagonisti delle guerre di mafia perché le testimonianza delle vittime delle organizzazioni mafiose, dei collaboratori di giustizia, delle donne che hanno rotto l’omertà e la complicità mafiosa a favore delle parole e delle azioni, saranno fondamentali per infrangere il silenzio che attanaglia il mondo della ‘ndrangheta. L’azione repressiva, portata avanti dalle forze dell’ordine e dalla magistratura, non sono sufficienti a vincere la guerra contro la mafia”.
Si è anche parlato del perché la ‘ndrangheta sia fortemente legata al simbolismo della Chiesa, che in questi ultimi anni ha preso una netta presa di posizione e bandito queste pratiche. “Tutti ricorderete le parole di papa Francesco nel 2014 a Cassano Ionio – ha ricordato la Manzini – i mafiosi saranno scomunicati”. Ma si è parlato anche di donne, che nel mondo criminale possono essere custodi e combattenti. Donne appartenenti alle famiglie mafiose e che sono custodi di disvalori che trasmettono ai figli, “garantendo così la sopravvivenza stessa della ‘ndrangheta. Donne violente con un ruolo significativo nell’organizzazione, ma comunque sottoposte al potere maschile, perché la ‘ndrangheta è un’organizzazione fortemente maschilista, che considera inferiore la donna. Nella’ndrangheta la famiglia di sangue è sacra e inviolabile. Malgrado la sua ormai acclarata organizzazione di tipo verticistico e il suo apparentamento con la massoneria, la sua forza risiede, principalmente, nei vincoli di sangue, che conferiscono alla ‘ndrangheta la indissolubilità che ne fa una forma di criminalità di cultura. E poi ci sono anche le donne combattenti, quelle che provano a ribellarsi e rompere l’omertà, che “purtroppo sono ancora troppo poche, anche se in numero sempre più crescente. Questo anche grazie al web, che lascia intravedere loro la possibilità di una vita diversa fuori dalla famiglia mafiosa”.
“La ‘ndrangheta – ha evidenziato la dott.ssa Manzini – è una forma di cultura distorta e deteriore che deve essere combattuta attraverso la coltivazione di una cultura sana che origina dalla conoscenza. La ‘ndrangheta si insinua all’interno dell’economia; controlla il territorio su cui opera ed esercita la “signoria” su cose e persone. E controlla anche le donne. Ecco perché il cambiamento potrà avvenire solo se, dall’interno della famiglia, la componente femminile, che tramanda i sub valori mafiosi, rifiuterà tale compito e se le donne strumento si trasformeranno in donne combattenti”.