Il virus dell'Hiv si diffonde eccome, anche se nessuno ne parla più

Da peste del secolo ad infezione lasciata nel dimenticatoio. Tutto ciò che riguarda il virus dell’Hiv, e la temibile malattia dell’Aids ad esso collegato, sembra non interessare più nessuno, se non l’1 dicembre, scelta come data a livello mondiale per ricordarne le migliaia di morti avvenute sin dagli anni ’80. Eppure di Hiv ci si continua ad ammalare: solo in Italia si contano 42mila decessi complessivi, ed undici nuovi casi di contagio al giorno, che non tengono conto dell’età e delle condizioni sociali.

E prima si arriva a scoprire il proprio stato di sieropositività, prima si può ricorrere ai farmaci che vengono “cuciti addosso” a seconda del proprio grado di tollerabilità come se il corpo fosse una sorta di abito, anche in considerazione del fatto che esiste una terapia funzionale capace di annullare gli effetti negativi del virus senza dar modo alla malattia di avanzare. Certo, si rimane sieropositivi a vita, con quello che ne consegue (come l’invecchiamento precoce), ma le possibilità di avere una vita normale ed anche di mettere su famiglia senza sviluppare la malattia sono ormai elevatissime.

L’importante – per riprendere le parole adoperate da Giove Bevacqua, responsabile regionale di “Network Persone Sieropositive Italia ONLUS”, ed organizzatore della conferenza stampa tenutasi venerdì al Centro Servizi al Volontariato di Catanzaro, alla presenza di Carlo Torti, direttore del reparto di Malattie Infettive dell’Università Magna Graecia”, Paolo Scerbo, del reparto dell’Ospedale Pugliese, di Massimo Vaccaro della Lila di Lamezia e della giornalista Rosanna Bergamo nella veste di moderatrice – è che i sieropositivi non vengano giudicati ed isolati, perché tutti sono vulnerabili al virus. Contrarlo dopo un rapporto sessuale non protetto non è di certo un crimine, ma troppe sono le leggende metropolitane che ruotano attorno al virus, e ancora tanti i tabù che occorre scardinare per sensibilizzare l’opinione pubblica a fare il test.

A rischio, infatti, non sono determinate categorie di persone, ma comportamenti imprudenti: c’è bisogno, quindi, che se ne parli, perché la disinformazione sui rapporti promiscui e la tossicodipendenza continua a fare danni. Non è un caso che la campagna adottata dall’associazione “NPS” sia, provocatoriamente, “Vestiti prima”: la prevenzione, infatti, come ha chiarito Bevacqua, si fa al riparo da pregiudizi e paure che non portano da nessuna parte. Ed anche la Calabria, che pur registra il tasso di incidenza della malattia più basso in Italia, paga le conseguenze di uno stigma diffuso che spinge a curarsi altrove per non essere identificati.

Le campagne di sensibilizzazione che ogni associazione porta avanti secondo le proprie tipicità – Vaccaro ha ricordato l’impegno della Lila a favore dell’inserimento lavorativo dei sieropositivi, e le attività di prevenzione all’interno delle scuole e attraverso i gruppi di auto-aiuto – ed anche con il sostegno dei gruppi studenteschi (all’incontro erano presenti Federico Pirrò e Maria Vallone, in rappresentanza del Segretariato Italiano Studenti in Medicina dell’ateneo catanzarese) – fanno sì che gli obiettivi che l’Organizzazione Mondiale della Sanità si è prefissata per il 2030, ovvero di trattare il 95% delle persone contagiate e di ridurre di un terzo la diffusione della malattia, come hanno chiarito i dottori Torti e Scerbo, sembrino più a portata di mano.

 

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