L'accoglienza non si fa per carità, ma per giustizia

fondazione citta solidale

E’ cosa nota che la Calabria, terra di emigrati, ben sappia dare accoglienza ai migranti che quasi ogni giorno approdano sulle sue coste. Ma, in quanto a buone prassi sull’integrazione, è ancora molto indietro.
Nel corso del convegno organizzato all’Auditorium del Seminario “S. Pio X” dalla Fondazione Città Solidale e dalla Caritas diocesana, in occasione del Giubileo straordinario della Misericordia, la solidarietà che “fa la differenza” è stata al centro di interventi di spessore – primo fra tutti quello del cardinale Francesco Montenegro, presidente della Caritas Italiana – che hanno rimarcato i vari aspetti che la macchina organizzativa dell’accoglienza mette in moto, prima fra tutti quelli della sicurezza (come hanno avuto modo di chiarire, nell’esercizio del proprio ruolo istituzionale, il prefetto Luisa Latella ed il delegato regionale all’Immigrazione Giovanni Manoccio). Ma prima di loro sono stati il presidente della Fondazione, don Piero Puglisi, e l’arcivescovo Vincenzo Bertolone – moderati dalla giornalista Donatella Soluri – a riportare il discorso sull’aspetto etico dell’accoglienza, spesso trascurato quando lo si vive come “fatto emergenziale”.

La pagina di “Matteo, 25” è forse il manifesto sociale per eccellenza nella misura in cui dice di dare ristoro al povero, all’affamato, all’assetato: ma in questa pagina del Vangelo è anche racchiuso un programma politico, come ha ben fatto notare il vicepresidente della Regione Calabria, Antonio Viscomi, soprattutto se lo si legge nel senso di “intessere” una rete in cui tutti sono chiamati a rinforzare gli anelli più deboli. Ed è nel parametro dello “stare insieme” e del dialogo comune che, un giorno, tutti noi saremo giudicati.
A questo punto potrebbe risultare utile chiedersi se quello che facciamo per gli immigrati sia dovuto a un sentimento di carità o piuttosto di giustizia, in nome di quell’egoismo che a loro ha tolto molto: è così che il cardinale Montenegro, che è anche arcivescovo di Agrigento, ha riportato alla mente dei moltissimi presenti i morti nel mare Mediterraneo che ormai non si contano più, i bambini non accompagnati di cui si perdono le tracce, le donne incinte che appena arrivate vogliono abortire perché il piccolo che portano in grembo è frutto di violenza. Continuiamo a chiederci perché in migliaia continuino ad arrivare qui, senza pensare che, per loro, si tratti di una vera necessità: “Non pensiamo minimamente al fatto che si tratti di persone “sconquassate” che non hanno un’alternativa, e che per loro il ritorno a casa equivale a morte sicura – ha continuato il cardinale – In realtà si tratta di persone già morte. Ognuno di noi può fare qualcosa, dal dare un thermos, una coperta o una parola di conforto, per farle sentire più accolte ed infondere loro speranza. Credere, infatti, significa sapere riconoscere: e gli immigrati vanno riconosciuti come una parte consistente del mondo (quasi fossero un “sesto” continente) che la globalizzazione e le politiche egoistiche attuate dall’Occidente continuano a far aumentare”.
Non è un caso che la consegna del premio “Città Solidale”, giunto alla terza edizione, sia avvenuta nelle mani di rappresentanti di organismi ecclesiali (i frati del Conventino di Sant’Antonio, che dal 1985 in città garantisce ogni giorno a cinquanta persone un pasto caldo, grazie all’impegno costante dei volontari) e di amministrazioni comunali (il sindaco di Catanzaro, Sergio Abramo; il sindaco di Gasperina, Gregorio Gallello; il sindaco di Squillace, Pasquale Muccari, ed una rappresentante del sindaco di San Pietro Apostolo). In segno di riconoscenza per quanto da loro profuso in termini di accoglienza in strutture caritative e di disponibilità nei loro confronti.

Ufficio stampa CSV Catanzaro

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