L’impresa sociale che produce autostima (per i down) L’impresa sociale che produce autostima (per i down)
Non siamo soli Fabbrica di autostima L’impresa sociale Cavarei di Forlì dà lavoro e speranza a 130 persone con disabilità mentali Nata dalla fusione di due cooperative oggi fattura 2,4 milioni di euro e ha 74 dipendenti La nuova sede su un’ex discarica: micro stamperia e laboratori. Convenzioni con il Ssn C’
è Diego, 40 anni compiuti settimana scorsa, che adesso fa le pulizie nell’impresa sociale, ma prima ha vissuto i suoi due cicli da sette anni ciascuno, «che sembravano le piaghe d’Egitto». Il primo come tornitore, il secondo come tossicodipendente e paziente psichiatrico, dentro e fuori le carceri. «Poi l’incontro con questa comunità. Mi hanno creduto, dato fiducia e, scusa se sono sudato, ma a mepiace lavorare qui. Faccio part-time e prendo 600 euro, ma se anche volessero darmi il reddito di cittadinanza da 730 al mese per non far nulla, continuerei ad alzarmi tutte le mattine per venire a Cavarei. Perché? Perché qui ogni ospite è speciale: “Diego mi lavi la mia maglietta bella?” “Diego sembri stanco, oggi”. “Diego, e tu cosa mangi di buono?”. Così non mi annoio e non mi infilo in un bar a giocare alle slot machine. È un mio difetto lo so, non riesco a trattenermi a volte. Meglio, molto meglio lavorare». Ore in laboratorio
Poi c’è Lucia che passa le ore in laboratorio. In questi giorni deve dividere dei succhi di frutta in scatole diverse a seconda del gusto. Altrimenti ci sono da imbustare molle e viti per i kit di montaggio di cappe aspiratrici. Lucia lavora con calma, lotta con i sacchetti troppo piccoli per le sue dita scoordinate. L’operatrice sdrammatizza, aiuta, ma Lucia per ogni sacchetto riempito guadagna un granello di autostima in più. «Ho avuto la gestosi in gravidanza – ricorda mamma Marisa, 72 anni – e Lucia ha avuto una sofferenza celebrale. Durante tutto il percorso scolastico faceva fatica e anche a costo di scandalizzare qualcuno sono arrivata a pensare che l’integrazione non funziona. Almeno non sempre. C’è una vita segreta tra i banchi di scuola, fatta di innamoramenti, occhiate, litigi, amicizie da cui i ragazzi disagiati sono esclusi. I professori di sostegnosono pochi e comunquenonbasterebbero. Allora meglio qui. I succhi di frutta, le molle e le viti, danno una gratificazione più ampia di un compagno che ne sa sempre più di te. Arrivo tutte le mattine ad accompagnare Lucia conl’angoscia e quando la riprendo alla sera l’angoscia mi torna. Cosa le succederà? Come potròaiutarla adesso che sono vecchia? Ma mentre è qua, con le operatrici che l’aiutano, con il suo lavoro, piccolo, facile,macomunque un lavoro che le dà dignità e le riempie il tempo, qui no, non c’è angoscia. Qui c’è fermento, fatica, vitalità». Come Diego e Lucia, ci sono anche Giovanni, Anna, Maria, Sergio e tutti gli altri 130 utenti di Cavarei. Centotrenta persone con sindromedi Downe disabilità psichiche di vario grado. Non è che questa impresa sociale di Forlì sia il paradiso. Anche qui come in tante altre realtà del sociale, si lotta con i bilanci, la burocrazia e la pazienza degli operatori come con la diffidenza dei vicini. Ma, il bello è che spesso si vince. Cavarei nasce dalla fusione di due cooperative storiche di Forlì, Romagna vera, autentica dove il saper fare le cose assieme resta nel Dna anche se la forma legale è nuova: non più cooperativa, ma impresa sociale. Roba da avvocati, commercialisti. Il modo di lavorare però resta quello di prima perché la capacità di cooperare è qualcosa che si succhia col latte delle mamme da queste parti. «Ci hanno detto che la legge sulle imprese sociali potrebbe darci dei vantaggi. Chissà? Sperimentiamo. Tanto quel che conta per noi è continuare a seguire i nostri ragazzi secondo le loro potenzialità, non per i loro limiti», dice la presidente Maurizia Squarzi.Eallora ecco Cavarei recuperare un’area abbandonata («praticamente una discarica») per farne una grande sede ecodi logica e luminosa. «Finalmente abbiamo avuto gli spazi giusti per garantire l’inserimento lavorativo, ma anche l’assistenza diurna e, fra poche settimane, anche la residenziale», spiega Paola Cicognani, responsabile dell’«area servizi». Un investimento da 2,8 milioni perun’impresa che ne fattura 2,4 è un bel passo. Ma è tutto pensato per limare i costi e aumentare gli incassi: la sala da pranzo con ingresso indipendente che si può affittare per eventi privati la sera quando rimarrebbe vuota. La micro stamperia, anche in 3D, che serve a far lavorare gli utenti, ma anche a prendere commesse dai soci sostenitori. Si lavora con i ritagli che permette la legge, si cercano mille modi per coinvolgere la città, per mantenere comunque un welfare che il pubblico non regge più. «Non facciamo utili, gli stipendi dei 74 dipendenti sono al minimo del contratto di categoria, abbiamo 30 volontari Mi hanno aiutato a rendere mio figlio più felice con il suo ritardo mentale. Ho 65 anni e tremo all’idea di lasciarlo solo: sto aspettando che si costruisca una nuova ala residenziale dove avrà la sua camera e 8 ragazzi del servizio civile più 4 “Berlusconi”. È così che chiamiamo i condannati ai lavori di pubblica utilità che poi spesso, finita la loro pena, rimangono con noi come volontari». Le convenzioni
Nonostante gli sforzi di fantasia per aumentare le entrate, almeno il 90% del fatturato viene dalle convenzioni con il Sistema Sanitario Nazionale. «Una giungla di rette per una miriade di interventi, ma alla fine i conti e l’assistenza riescono ad incontrarsi». «Le ho conosciute anni fa – racconta Franco Sami – e mi hanno aiutato a rendere mio figlio Giovanni più felice con il suo ritardo mentale. Attività, lavori, intrattenimento solo diurno fino ad adesso. Ma io ho 65 anni e tremo all’idea di lasciarlo solo. Sto aspettando che si costruisca una nuova ala residenziale della Cavarei perché lui possa cominciare ad adattarsi, a sentire la sua camera come una nuova casa e poi, quando nonci saròpiù io,nonsarà disperato e solo. Avrà un posto dove andare e qualcuno che potrà aiutarlo». Fondatori, soci e sostenitori lavorano e pensano ancora come nelle cooperative di antica tradizione, come se fosse cosa loro. Perché? La maggior parte di loro ha figli, fratelli, parenti tra gli utenti. Se tutto il privato in convenzione funzionasse così, sarebbe una svolta per i conti e per la qualità dell’assistenza.