L'Italia è divisa in due nell'attività di prevenzione dei tumori

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Intervista a Francesco De Lorenzo, presidente nazionale della FAVO

Alla presentazione dell’ottavo rapporto sulla condizione dei malati oncologici in Italia da parte della Favo (Federazione Italiana delle Associazioni in Oncologia), tenutasi, nel dicembre scorso, a Catanzaro nella sede della Cittadella regionale, il presidente Francesco De Lorenzo ha sorpreso tutti con l’eloquente descrizione dello stato dell’arte nella cura e nella prevenzione della malattia del secolo.

Con identica professionalità ha risposto alle domande che gli abbiamo rivolto, poco tempo dopo, contattandolo per telefono.

Professore De Lorenzo, 2,4 milioni di italiani vivono con una diagnosi pregressa di tumore. Il 27% delle persone che ha avuto un tumore ha raggiunto un’aspettativa di vita simile a quella di chi non ha mai convissuto con una simile patologia. A cosa è dovuto l’incremento di questo dato? Al miglioramento delle cure o all’attività di prevenzione?
Con la diagnosi precoce, che si realizza tramite l’attività di screening, si può oggi arrivare alla guarigione dal tumore. La prevenzione, infatti, consente di evitare l’insorgenza di metastasi e di trovare nell’intervento chirurgico, al quale si affiancano le terapie chemioterapiche adeguate al caso, la via risolutiva nella cura della malattia. Nell’individuazione tempestiva del tumore ci vengono in aiuto anche i cosiddetti “markers”, le molecole del sangue che ci avvisano della presenza di cellule neoplastiche all’interno dell’organismo. E tra le terapie innovative, che vengono ormai eseguite con successo da circa dieci anni, è importante ricordare il ruolo dei farmaci biologici, non sempre sostitutivi della chemio, nel processo di costruzione di una medicina oncologica personalizzata che porta ad ottimi risultati.
Senza dimenticare, poi, l’apporto che viene dato nel processo di guarigione dall’immunoterapia, che fa sì che il sistema immunitario non venga bloccato dalla cellula tumorale. E’ grazie al sistema immunitario, del resto, se siamo in vita, e se ci si ammala è perché non ci si riesce a difendere dal tumore come lo si fa dai batteri.

Esistono cure alternative alla devastante chemioterapia? Si parla tanto di pratiche non riconosciute, dai risultati insperati e con un basso indice di tossicità, che avallano i dubbi in merito alla validità dei metodi tradizionali. E’ giusto affermare, dunque, che la chemio non possa essere considerata la panacea nella cura di questa malattia?
E’ indubbio che la chemioterapia porti con sé effetti collaterali, ma è anche vero che molti di questi effetti, oggi, siano stati “alleggeriti”. Molto spesso la chemio è associata alla radioterapia ed alle nuove terapie immuno-oncologiche, che costituiscono una fondamentale innovazione e possono rivoluzionare il trattamento di molte forme tumorali come il melanoma, il cancro del polmone, il cancro del rene. Ormai si parla dell’immuno-oncologia come la terza ondata importante nella cura dei tumori dopo la chemioterapia e la terapia a bersaglio molecolare.

L’Italia è divisa in due nella prevenzione ed anche nel modo di affrontare la malattia. Lei al convegno della Favo a Catanzaro ha rimarcato l’importanza della riabilitazione a più livelli, definita un risparmio per il Servizio Sanitario nazionale. Quanto ancora al sud siamo lontani da quanto da Lei auspicato, in considerazione del fatto che in queste regioni manca un registro dei tumori?
Rispetto ai dati epidemiologici di alcuni anni fa, che attestavano una maggiore incidenza di tumori al Nord piuttosto che al Sud, terra della famosa dieta mediterranea, oggi si assiste ad un’inversione di tendenza. Ci si ammala di più al Sud perché qui, a differenza del Nord, non si fa prevenzione e si arriva a curarsi quando la malattia è già in stato avanzato. L’eccessiva autonomia regionale, poi, con la modifica del titolo V della Costituzione, ha complicato ulteriormente la situazione, portando alla coesistenza di venti sistemi sanitari diversi. La previsione dei livelli essenziali di assistenza (i cosiddetti “lea”) dovrebbe contenere le indicazioni obbligatorie per tutte le regioni, anche per quanto riguarda la ripartizione dei fondi: ma se le regioni non ne fanno il giusto utilizzo, o vengono meno agli obblighi, è da ascrivere alla responsabilità delle regioni stesse. In questo disarticolato panorama delle autonomie regionali c’è bisogno, dunque, di uno Stato centrale al quale ricorrere.

Lei conferma che il numero di tumori nelle regioni del Sud, a vocazione agricola e turistica e non certo industriale, non è inferiore a quello registrato al Nord. Si parla tanto di inquinamento del suolo e del mare: a suo avviso, esiste una correlazione tra i fatti sui quali si sta di recente indagando?
Diciamo in maniera più specifica che l’evoluzione della malattia nelle regioni del Sud è più preoccupante rispetto al Nord a causa del mancato ricorso all’attività di prevenzione. Per ciò che attiene all’inquinamento, penso che non sia corretto, come hanno fatto i media, “inscenare” una correlazione tra i fatti che non è suffragata da alcun fondamento scientifico. In mancanza di un registro tumori, che riporti i casi ripetuti nel tempo con riferimento ad un determinato territorio, non si può prendere in considerazione una tale affermazione. Anche se il sospetto rimane.
Lei si è soffermato sulla depressione come “effetto collaterale” della malattia. Quanto può essere utile una rete funzionale dei servizi, arricchita della presenza del volontariato, per far sentire meno solo l’ammalato?
La diagnosi di cancro genera disorientamento ed abbattimento, perché di colpo ci si rapporta alla paventata possibilità della fine della vita. E’ scientificamente dimostrato che una persona depressa reagisca male alla terapia, e che, di contro, un approccio più positivo aiuti a venirne fuori. Del resto, il sostegno psicologico nell’affrontare le tappe della malattia è contemplato già nel piano oncologico nazionale. Si può ben comprendere, quindi, quanto sia importante l’apporto che viene dai volontari, nella maggior parte dei casi ex malati di cancro o familiari di malati, sia in termini di assistenza domiciliare, affiancamento, disbrigo pratiche e supporto morale, che di stimolo nei confronti delle istituzioni per la risoluzione delle questioni più varie dal punto di vista politico. La Favo, ad esempio, che è una federazione alla quale aderiscono circa centocinquanta associazioni italiane a servizio dei malati di cancro, e che è da me presieduta, mira ad assicurare una rappresentanza istituzionale per il riconoscimento di nuovi bisogni e di nuovi diritti. Molte sono state le battaglie portate avanti dal mondo del volontariato per l’approvazione di leggi a tutela dei diritti degli ammalati, primo fra tutti quello per il riconoscimento della disabilità da parte dell’Inps già quindici giorni dopo la visita medica di accertamento, e non più dopo anni di attesa. E poi c’è quella che assicura il ritorno al lavoro dell’ammalato dopo le cure, che è un primo passo per il ritorno &ldqu
o;alla vita” e per il riconoscimento sociale. Altre battaglie sono tuttora in corso, sia per l’individuazione dei centri di specialità per i tumori rari, sia per la costituzione di commissioni ad hoc che si occupino di riabilitazione, tutela del lavoro e dell’istituzione di un libro bianco per il tumore alla vescica ed al pancreas.

Lei ha definito l’informazione come la prima “medicina” per gli ammalati. Il sentirsi emarginati e il non sapere a chi rivolgersi fanno sì che la Calabria, ad esempio, sia la prima delle regioni italiane per migrazione sanitaria e ultima per servizi di accoglienza, hospice per cure palliative (su 84 posti letto se ne contano 20), screening di prevenzione ed assistenza domiciliare. Continuerà a parlarsi di un’Italia di serie A e di serie B in eterno, secondo Lei?
E’ importante che l’ammalato non venga lasciato solo a se stesso, ma che venga informato delle possibilità di cura, delle varie tappe da percorrere e dei migliori centri specializzati in Italia. Ricordiamo che il 25% delle persone ammalate guarisce, e che, con riguardo ad alcune tipologie di tumore, quali il melanoma, la guarigione è completa. Grazie ad internet, si può oggi sapere quale sia il miglior centro in Italia per il trattamento di quella particolare forma tumorale, e quale sia, invece, il punto ospedaliero da evitare: i siti nazionali www.aimac.it, www.favo.it e www.oncoguida.it rappresentano oggi un punto di riferimento fondamentale per districarsi nel labirinto dei trattamenti oncologici, e per uscirne fuori presto e bene.

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