La presenza femminile nelle associazioni di volontariato

Gli ostacoli per le donne che vogliono fare volontariato sono molti nel nostro Paese, nonostante esse dedichino in media più ore degli uomini: il loro impegno vale doppio. Vi proponiamo un approfondimento della Fondazione Volontariato e Partecipazione.
Le donne in Italia sono il 52% della popolazione sopra i 14 anni, rappresentano soltanto il 42% della forza lavoro occupata – spesso con ruoli subalterni e retribuzioni più basse – ma ben il 45% del totale dei volontari delle organizzazioni di volontariato italiane. E soprattutto coloro che dedicano più tempo per gli altri.
E’ quanto emerge da un approfondimento della Fondazione Volontariato e Partecipazione che ha analizzato i dati forniti dall’Indagine Istat sugli Aspetti della Vita Quotidiana.
Considerando solo le organizzazioni di volontariato, il tasso di partecipazione femminile a tali organizzazioni è pari al 2,9% (circa 3 donne su 100), contro il 3,9% degli uomini.
In allegato, il report “La presenza femminile nelle associazioni di volontariato: specchio o laboratorio di socialità?”, di Lorenzo Maraviglia, Ufficio di Statistica della Provincia di Lucca, nell’ambito della convenzione stipulata fra l’Ente e la Fondazione Volontariato e Partecipazione.
L’analisi si basa sui dati dell’Indagine ISTAT sugli Aspetti della Vita Quotidiana condotta nel 2013 su un campione nazionale rappresentativo di 40.352 individui di età superiore a 14 anni. All’interno di tale aggregato statistico, il gruppo di interesse primario è costituito da coloro che hanno dichiarato di aver svolto nelle ultime 4 settimane attività gratuite a favore di altri per il tramite di organizzazioni di volontariato, per un totale di 1.346 casi.
“Nonostante le fatiche, sia nella vita privata sia in quella lavorativa, che nel nostro Paese vivono quotidianamente le donne – spiega il presidente del Centro Nazionale per il Volontariato Edoardo Patriarca – i dati ci raccontano di una loro forte dedizione al volontariato. Un’opera che vale doppio proprio perché il percorso per l’impegno civile e sociale delle donne è ancora oggi denso di ostacoli”.
“Le donne – aggiunge il presidente della Fondazione Volontariato e Partecipazione Alessandro Bianchini – risultano strutturalmente svantaggiate rispetto agli uomini perché meno rappresentate negli ambienti organizzativi e più gravate da incombenze e responsabilità. Ma quando possono e decidono di aderire ad un’organizzazione di volontariato, le donne dedicano ad essa un livello di impegno superiore a quello degli uomini. E’ un indizio consistente di un interesse particolarmente vivo”.
Se da un lato, infatti, le donne in genere hanno una minor propensione ad aderire ad organizzazioni di volontariato, dall’altro quelle che compiono tale scelta evidenziano livelli di impegno (misurati in termini di ore settimanali dedicate a tali attività) superiori a quelli dei volontari maschi, con una media 18,5 ore contro 15,4 dei secondi.
Poiché fare volontariato presuppone una certa disponibilità di tempo, è opportuno sottolineare il confronto a parità di ore che uomini e donne dedicano (settimanalmente) al lavoro e alla famiglia. Come è noto, gli uomini occupati lavorano in media per più ore rispetto alle donne, ma il bilancio tende a riequilibrarsi prendendo in considerazione anche le attività domestiche (dove i primi risultano spesso “latitanti”). Le donne si confermano più coinvolte nelle attività di volontariato, con un livello di impegno orario superiori in media del 18% rispetto agli uomini.
I settori di attività che più parrebbero richiamare i contenuti dei ruoli assegnati alle donne in ambito familiare, ovvero la “sanità” ed il “sociale”, non presentano alcuna prevalenza dell’elemento femminile. Per contro, le donne tendono ad essere sovra-rappresentate nelle associazioni di volontariato a sfondo religioso e politico, nonché in quelle che presentano un orientamento civico (ad esempio per la tutela di diritti o per la difesa di beni collettivi).
Le donne sono anche penalizzate all’interno delle organizzazioni, trovandosi in posizioni di minor prestigio e contenuto professionale. Lo “scettro del comando” continua ad essere soprattutto appannaggio degli uomini.
In merito alle motivazioni dello svolgimento delle attività di volontariato, le risposte selezionate con maggior frequenza, dalle donne come dagli uomini, sono “per fede nella causa sostenuta dal gruppo/associazione”, “per dare un contributo alla comunità, all’ambiente”, “per motivi religiosi”. A differenza degli uomini, tuttavia, le donne evidenziano anche una certa attenzione per motivazioni legate alla sfera lavorativa, quali “per occasioni di crescita professionale e per cercare opportunità di lavoro” e “ho acquisito competenze utili per il lavoro”; in questi casi, infatti, la proporzione fra i sessi è decisamente favorevole alle seconde (su tre volontari che hanno scelto “per crescita professionale ed opportunità di lavoro” due sono donne ed uno è uomo).
Essere disoccupati ha un effetto negativo sulla probabilità di svolgere attività volontarie (a parità di età, di sesso e di titolo di studio il tasso di partecipazione al volontariato degli individui disoccupati è inferiore a quello degli occupati e degli inattivi). Una possibile spiegazione è che chi è disoccupato ha poco tempo da dedicare ad altre attività perché è totalmente assorbito dalla ricerca di un lavoro. Se tuttavia si considera l’interazione fra disoccupazione e genere, si può osservare che mentre l’effetto negativo della prima sulla propensione al volontariato si intensifica per gli uomini, esso sparisce completamente per le donne. In pratica, a differenza degli uomini, le donne disoccupate hanno le stesse probabilità di militare in associazioni di volontariato delle donne occupate o inattive.
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