I dati dell’indagine di Aiccon su come i centri di servizio per il volontariato hanno lavorato nell’ultimo triennio fotografano un sistema impegnato alla pianificazione strategica ma anche nella formazione. Superando la logica dell’obbligo legislativo.
“Il volontariato genera cambiamento e trasformazione: è la sua stessa natura che lo rende perfettamente compatibile con l’impatto sociale e misurare il valore di ciò che si fa è fondamentale per continuare a crearlo. Comunicare questi dati alla propria comunità crea fiducia”. È con queste parole che Paolo Venturi di Aiccon ha commentato i primi dati sulle attività realizzate dai centri di servizio per il volontariato sulla valutazione dell’impatto sociale (Vis) presentati durante la sessione preliminare della XIX conferenza annuale di Trento di CSVnet lo scorso 3 ottobre. L’indagine “L’orientamento all’impatto sociale della rete dei Csv” è una fotografia dinamica di quello che succede in Italia ma anche un termometro sull’intenzione da parte dei centri di lavorare su questo tema, al di là delle richieste avanzate dal legislatore nel codice del terzo settore. Nonostante la strada da percorrere sia ancora lunga, ciò che emerge dall’indagine è che la rete si trova avanti in questo percorso. A fare la differenza, la costruzione di relazioni di ascolto ma anche la dimensione strategica, la spinta intenzionale a lavorare sul tema e un’attenzione continua al cambiamento che genera il volontariato sulle comunità.
A rispondere alla survey lanciata da CSVnet in collaborazione con Aiccon, 44 centri di servizio su 62 che hanno risposto sulle attività svolte nell’ultimo triennio. Secondo i dati presentati per l’occasione da Serena Miccolis di Aiccon, 28 Csv su 44 hanno realizzato attività di valutazione di impatto sociale. Di questi, il 78,6% si sono concentrati sulla formazione rivolta al personale interno, ai soci e agli utenti, il 50% di vera e propria valutazione di impatto, direttamente o come partner, il 42,9% di informazione e comunicazione e il 35,7% di pianificazione strategica orientata all’impatto.
Ma quali sono state le azioni prettamente rivolte alla valutazione dell’impatto sociale?
In relazione alle attività di interesse generale indicate degli enti del terzo settore indicati dalla riforma, su 23 iniziative, il 60,9% sono state svolte al settore di interventi e servizi sociali, il 17,4% sulle attività culturali, artistiche o ricreative di interesse sociale. Queste due fette coprono quasi l’80% del totale. Da segnalare anche un 4,3% sulla riqualificazione di beni pubblici inutilizzati o di beni confiscati alla criminalità organizzata, un settore su cui le reti sono particolarmente impegnate.
Una scelta di campo, quella dei Csv: in 3 casi su 4 (73,9%), infatti, le attività di valutazione di impatto in questione sono state svolte volontariamente e non perché richieste.
Un’azione di rete: il coinvolgimento degli stakeholder
Tra i punti fermi della Vis c’è il coinvolgimento degli stakeholder nelle attività. In prima battuta, si trova la rete degli enti del terzo settore, sia in qualità di volontari (75%) che di personale retribuito (46,4%). Gli altri attori rappresentano l’ecosistema dell’impatto, dalla pubblica amministrazione (50%), la comunità locale (42%), gli altri centri di servizio, in linea con la logica di rete che li caratterizza (28,6%) ma anche una buona fetta del mondo culturale, dall’università e i centri di ricerca (28,6%) alle scuole (25%). Ultimo tassello, le imprese for profit, presenti nel 10,7% dei casi.
Il capitale umano, il vero investimento
Le risorse umane sono il vero motore di queste azioni, presenti nell’89,3% dei casi, seguite da quelle monetarie al 57,1% e non per il 17,9% (dagli spazi e strumentazione al know how acquisito). Il capitale umano impiegato è interno nell’84% dei casi (dedicato full time e/o part ti me e incaricato occasionalmente) con il supporto di figure esterne nel 60% (singoli consulenti, enti privati specializzati e Università).
Dall’indagine risulta anche che le attività legate all’impatto sociale sono solo per il 35,7% una tantum: nella metà dei casi si tratta di più incontri, azioni e appuntamenti nel corso dell’anno e in nel 17,9% il percorso è stato riproposto per più anni.
Perché fare valutazione d’impatto?
Nell’82,1% delle risposte si tratta innanzitutto di una scelta strategica di forte convinzione e solo nel 46,4% per indicazioni date dal codice del terzo settore. A scalare, il 35,7% ha segnalato anche la disposizione specifica o interesse personale del personale dello staff del Csv, un indicatore di qualità delle risorse umane impiegate. Segue poi l’intervento di CSVnet (17,9%), l’obbligatorietà richiesta da uno specifico bando, progetto o ente finanziatore (10,7%) e solo per il 3,6% a seguito di una sollecitazione da parte dei soci.
Dai modelli alla pianificazione strategica. Ecco gli interventi dei Csv nell’ultimo triennio
Tra gli esempi di attività, c’è la volontà di dotarsi di modelli comuni di valutazione d’impatto, sia all’interno dei Csv che nella rete della associate, come nel caso del CSV delle Marche, CSV Toscana e alcuni CSV del Veneto. Una seconda direttrice di lavoro riguarda la costruzione di partnership e reti per lo sviluppo e la promozione della pratica valutativa. Si tratta, ad esempio, di azioni realizzate con gli istituti universitari del territorio (tra cui CSV Modena con UniMoRe e CSV Cosenza con l’Università della Calabria) e su progetti e servizi regionali che coinvolgono più centri come nel caso dei 5 CSV del Veneto con l’Università di Verona.
E ancora, attività di capacity building come nel caso del CSV di Padova e CSV Torino e di pianificazione strategica impact-oriented per CSV Trento e CSV Milano.
Le difficoltà di un percorso d’innovazione
Dall’indagine Aiccon emergono tante luci ma anche diverse ombre. Tra le criticità sollevate dai Csv, la brevità e la frammentarietà dei momenti formativi sul tema, l’eccessiva attenzione non tanto alla pianificazione orientata all’impatto ma alla sola resa in termini di risultati, la scarsa cultura da parte della pubblica amministrazione sul tema, la carenza di metodologie adatte alle piccole associazioni. Un problema delicato, quest’ultimo: sullo sfondo c’è il rischio di rendere la valutazione d’impatto un ulteriore strumento di disuguaglianze tra grandi e piccole realtà. Infine, mancano ancora le competenze adeguate.
Il futuro della valutazione d’impatto per i Csv: le linee programmatiche
I Csv che hanno inserito la Vis nella programmazione futura, invece, salgono da 28 a 30. Com’era prevedibile, alla luce di questa prima esperienza triennale, diminuisce la necessità di formarsi sul tema e le azioni previste in questa direzione scendono dal 78,6% al 66,7%. Le azioni di vera e propria valutazione rimangono in programmazione nel 50% dei casi e aumenta la necessità di comunicarle (dal 42,9% al 50%). Sempre al 50%, infine, la pianificazione strategica orientata, con un aumento dal 35,7%. di Lara Esposito
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