Il 6 febbraio si è celebrata la Giornata Internazionale contro le mutilazioni genitali femminili. Sono almeno 200 milioni le bambine e donne costrette a subire questa tortura. La maggior parte di loro vive in Africa, Medio Oriente e Asia. La pratica è quasi universale a Gibuti, Guinea e Somalia, dove circa il 98 per cento delle donne e delle ragazze ha subito una qualche forma di mutilazione genitale. In molti casi, sono bambine tra i 5 e 9 anni. Ma la mutilazione genitale femminile riguarda anche Europa, Australia e Stati Uniti. E non solo, spesso le bambine e adolescenti sono a rischio di essere sottoposte a mutilazione quando tornano nei Paesi d’origine per far visita ai parenti, soprattutto nel periodo estivo quando comincia quella che si conosce come la “stagione del taglio”.Molte comunità praticano la mutilazione genitale nella convinzione che garantirà la verginità prima del matrimonio, la fedeltà della futura sposa e quindi l’onore familiare. Sebbene la religione venga utilizzata per giustificare questa violenza ai corpi delle donne, non esiste nessun precetto o credo che la preveda.
“Le mutilazioni genitali femminili rappresentano tante cose: un atto violento che causa infezioni, malattie, complicazioni durante il parto e anche la morte”, ha affermato Henrietta H. Fore, direttore generale di Unicef. “Una pratica crudele che infligge danni emotivi duraturi nel tempo – ha aggiunto Fore – perpetrati sui più vulnerabili della società: le ragazze nella fascia di età compresa tra l’infanzia e i 15 anni”.
Il Fondo delle Nazioni Unite per la popolazione (Unfpa) assieme a Unicef ha lanciato nel 2008 un programma per porre fine alle mutilazioni genitali delle donne. Da allora, 13 paesi hanno approvato leggi che vietano la Fgm e le agenzie delle Nazioni Unite hanno fornito l’accesso ai servizi di prevenzione, protezione e trattamento a più di 700mila donne e ragazze. L’eliminazione delle mutilazioni genitali femminili è inclusa fra gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile, approvati dall’Assemblea Generale dell’ONU il 25 settembre 2015, e dovranno essere raggiunti entro il 2030. Amref, da 60 anni la più grande organizzazione sanitaria africana che opera nel continente, ha lanciato la campagna “Stop the cut” – Fermiamo il taglio. “Per promuovere l’abbandono delle mutilazioni genitali femminile – è l’appello delle Nazioni Unite – è necessario un impegno coordinato e sistematico che deve coinvolgere intere comunità e focalizzarsi sui diritti umani e sull’uguaglianza di genere. E’ necessario anche affrontare le esigenze in materia di salute riproduttiva e sessuale delle donne e delle ragazze che ne soffrono le conseguenze”.
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