Le ong hanno pagato l’effetto Covid-19 più di altre organizzazioni. Secondo i primi dati di una survey realizzata da Open Cooperazione su 84 organizzazioni, il 68% delle ong prevede un bilancio in perdita nel 2020. In particolare, il 28% delle ong prevede che il risultato d’esercizio nel 2020 registrerà un calo entro il 10%, mentre il 20% avrà un calo compreso fra il 10 e il 20% e infine il 20% perderebbe più del 20%.
A soffrire è stata in particolare la raccolta fondi, che la pandemia ha spostato in maniera importante verso la sanità, con la Protezione Civile e gli ospedali con le loro fondazioni in prima linea (vedi il 6° Italy Giving Report di Vita). Le ong, nonostante siano sempre più impegnate anche in Italia, restano conosciute principalmente per il loro lavoro all’estero e in questo cointesto sono state penalizzate, pur avendo il 61% di esse messo in campo progetti specifici legati all’emergenza Covid-19. Le campagne di raccolta fondi straordinarie non sono riuscite a compensare l’emorragia di donazioni: l’81% delle organizzazioni riscontra un calo della raccolta fondi e addirittura per il 40% è diminuita più del 20%. Solo il 7% delle ong è riuscita ad aumentare la raccolta oltre il 10% rispetto ai livelli pre-Covid.
Il 57% delle organizzazioni ha cambiato o rinnovato la sua strategia e le priorità a seguito della pandemia. Nella maggioranza dei casi lo hanno fatto identificando nuove aree tematiche di intervento (51%) e mettendo in campo specifici progetti legati all’emergenza Covid-19 (61%). Il 60% delle organizzazioni ha iniziato a operare sul fronte pandemia riconvertendo risorse già esistenti, il 58% ha invece mobilitato nuove risorse da privati e solo il 37% è riuscita ad ottenere finanziamenti istituzionali per i progetti dedicati alla pandemia. Per superare le perdite registrate, un’organizzazione su tre ha attivato la cassa integrazione straordinaria (FIS), il 40% è riuscito a ottenere bonus e incentivi dai decreti Covid, il 33% ha rinunciato a consulenze esterne già programmate e il 12% ha dovuto dilazionare o ritardare il pagamento degli stipendi.
«Non ci siamo mai fermati nel 2020», commenta Giampaolo Silvestri, segretario generale di AVSI. «Abbiamo voluto essere anticiclici: abbiamo promosso la ricerca di nuove soluzioni e attività innovative che permettessero di non sospendere i progetti; abbiamo promosso una comunicazione proattiva, insieme a campagne di raccolta fondi che hanno raggiunto nuovi soggetti; abbiamo aumentato la cura della qualità dei progetti, promuovendo un modo di lavorare sempre più integrato tra quartier generale e management regionale. E dovremo rilanciare ancora, sia un approccio multistakholder, sia nuove partnership, perché il 2021 non si annuncia meno carico di sfida dell’anno scorso».
Tutto questo a fronte di una situazione pre-Covid del tutto positiva per le organizzazioni della società civile italiana impegnate nella cooperazione internazionale e nell’aiuto umanitario.
Il 57% delle organizzazioni ha cambiato o rinnovato la sua strategia e le priorità a seguito della pandemia. Nella maggioranza dei casi lo hanno fatto identificando nuove aree tematiche di intervento (51%) e mettendo in campo specifici progetti legati all’emergenza Covid-19 (61%). Il 60% delle organizzazioni ha iniziato a operare sul fronte pandemia riconvertendo risorse già esistenti, il 58% ha invece mobilitato nuove risorse da privati e solo il 37% è riuscita ad ottenere finanziamenti istituzionali per i progetti dedicati alla pandemia. Per superare le perdite registrate, un’organizzazione su tre ha attivato la cassa integrazione straordinaria (FIS), il 40% è riuscito a ottenere bonus e incentivi dai decreti Covid, il 33% ha rinunciato a consulenze esterne già programmate e il 12% ha dovuto dilazionare o ritardare il pagamento degli stipendi.
«Non ci siamo mai fermati nel 2020», commenta Giampaolo Silvestri, segretario generale di AVSI. «Abbiamo voluto essere anticiclici: abbiamo promosso la ricerca di nuove soluzioni e attività innovative che permettessero di non sospendere i progetti; abbiamo promosso una comunicazione proattiva, insieme a campagne di raccolta fondi che hanno raggiunto nuovi soggetti; abbiamo aumentato la cura della qualità dei progetti, promuovendo un modo di lavorare sempre più integrato tra quartier generale e management regionale. E dovremo rilanciare ancora, sia un approccio multistakholder, sia nuove partnership, perché il 2021 non si annuncia meno carico di sfida dell’anno scorso».
Tutto questo a fronte di una situazione pre-Covid del tutto positiva per le organizzazioni della società civile italiana impegnate nella cooperazione internazionale e nell’aiuto umanitario.
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