(Foto 1 - Nella foto grande: la testa del corteo guidata dai familiari delle vittime, in basso alcuni studenti.)
(Foto 2 - Don Ciotti stringe le mani ai familiari delle vittime).
Calabria – GIORNATA DELLA MEMORIA
“Siamo tutti sbirri”. In una frase la voglia di riscatto di un territorio.
LOCRI- Circa venticinquemila persona in piazza per la ventitreesima giornata della memoria dell’impegno. In Calabria, a Locri.
“Siamo tutti sbirri” dice don Ciotti dal palco, ritornando sulla questione delle scritte apparse sui musi di Locri la notte prima della manifestazione. Centinaia di applausi, in una piazza stracolma di fronte alla stessa chiesa dove sono stati celebrati i funerali della strage di Duisburg. Tutto questo mentre in contemporanea in tantissime parti d’Italia le iniziative hanno chiamato a raccolta 500mila partecipanti per tenere viva la memoria delle vittime delle mafie. Lo slogan è chiaro: “Luoghi di bellezza, testimoni di speranza” ed è il life-motiv che ha guidato l’intero corteo e l’assemblamento in piazza Portosalvo. Il corteo è partito intorno alle otto del mattino e si è mosso dal lungomare fino a raggiungere la piazza, “circondando” Locri in un abbraccio collettivo.
Matteo Luzza nel suo discorso introduttivo sul palco chiarisce: “Siamo orgogliosi di essere con gli sbirri che non si nascondono come i vigliacchi. Siete solo una montagna di merda”. La piazza risponde, piena e compatta. Ci sono scuole e studenti sopratutto. C’è il sorriso di chi cerca una vita nuova e anche la presenza, a tratti ingombrante, delle istituzioni. Tantissimi i gonfaloni che hanno seguito i familiari, più indietro invece ci sono i volti dei ragazzi migranti sbarcati da pochi mesi in Calabria. Anche loro cercano giustizia. La presenza delle forze dell’ordine è imponente e non è qui soltanto per questioni di sicurezza. Seduto alle prime file, sotto il palco, c’è anche il generale dei carabinieri Tullio Del Sette mentre a pochi passi p come ogni anno, c’è il presidente del Senato Piero Grasso. Una presenza molto gradita dopo quella del presidente della Repubblica Mattarella. La seconda carica dello Stato, però, non parla alla folla. Si limita a leggere uno stralcio della lunghissima lista di nomi letta in pubblico. Grasso fa i nomi di Falcone, Borsellino e dei ragazzi della scorta. La piazza si “gela” per un attimo prima di sciogliersi in un lungo applauso. Un giorno “certamente di celebrazione – ha detto Grasso circondato da stampa e sicurezza a bordo palco – per ricordare tutti insieme e per stare vicini alle famiglie, ma soprattutto deve essere un momento di attenzione nei confronti dei problemi dell’Italia, quale il lavoro dei giovani ed il loro inserimento sociale”. Il presidente Mario Oliverio resta in disparte, ma è tutta la “politica” a restare ai margini della manifestazione. Non si vedere una bandiera, se non quella della Cgil e di Libera. A pochi passi, anch’egli circondato dai microfoni c’è il procuratore della Dda di Reggio Calabria, Federico Cafiero de Raho: “Libera – dice – ha questa straordinaria capacità di unire, l’unione è quella che consente di contrastare efficacemente la ‘ndrangheta e tutte le altre mafie.
La ‘ndrangheta vuole il silenzio e l’isolamento, sono i connotati fondamentali della sua forza. Tra gli studenti c’è una preparazione talmente forte che fa pensare che quando saranno loro a guidare la società la ‘ndrangheta sarà completamente annientata. In questo primo giorno di primavera si celebra l’orgoglio calabrese. Don Ciotti questo aspetto lo ha rimarcato più volte dal palco: “La partecipazione alla vita democratica è importantissima – ha detto – la zona grigia si crea sul consenso”. Ciotti parla di riscatto civile, di consapevolezza sociale a politica e soprattutto di conoscenza, studio, dedizione da contrapporre ai “professionisti dell’antimafia”. La giornata di ieri è stata soprattutto quella dei nomi di chi non c’è più per mano delle mafie, sul palco anche Maria Falcone, sorella del giudice. Da tutta Italia arrivano attestazioni di solidarietà: c’è quella di Renzi e quella di Rosy Bindi. Ma in piazza c’è la Chiesa, con la Cei interamente “schierata”, i parroci di frontiera che combattono guerre silenziose nei borghi calabresi, ci sono i ragazzi e i familiari. Sono loro ad aver voltato simbolicamente le spalle a quelle scritte ingiuriose che, a quanto pare, non sarebbero più anonime. Sembra infatti che siano stati identificati gli autori grazie alle telecamere di sorveglianza.
di Valerio Panettieri.
IL DISCORSO – Appello a lavorare per costruire la “città educativa”.
Don Ciotti esorta i calabresi “No alla rassegnazione”.
LOCRI – “Siamo qui perché amiamo la vita”. Una frase che è stata ribadita con forza da don Luigi Ciotti nel giorno della “Memoria e dell’Impegno”. Ieri era il primo giorno di primavera e a Locri si respirava un’aria nuova. Prima il corteo, fatto di colori, immagini, parole e passione civile. Poi la piazza. Quella dei Martiri. Davanti al palco, in prima fila, c’erano i familiari delle vittime. Ognuno portando una foto, una frase, qualcosa che potesse ricordare chi oggi non c’è più fisicamente, ma presente nei cuori di ognuno. Grandi cartelloni portano invece i familiari delle vittime calabresi. Sono le pagine ingrandite del diario della memoria. Le storie del Quotidiano. Riecheggiano ancora una volta di molte, troppe, vittime per mano dei criminali. E poi è il momento del fondatore di Libera, don Ciotti. “Siamo qui perchè amiamo la vita”, ripete e va avanti. I violini hanno smesso di suonare. Hanno fatto da sottofondo alla lunga litania di nomi. Ora è quello del leader di Libera che sembra, anzi è un inno alla vita, alla legalità, al presente.
Toni decisi quelli di don Luifi Ciotti, che non lasciano dubbi. Esorta i calabresi a tornare ad essere “maestri” lungimiranti per una terra che deve tornare a fiorire di cultura, di conoscenza, di bellezza. Ma il suo pensiero è stato dal primo momento tutto ricolto ai giovani. Tantissimi nella piazza di Locri ad ascoltarlo, ad inneggiare al suo calore, bisogno di questo incoraggiamento a prendere tra le mani il proprio destino, a non lasciarlo tra le mani della corruzione, dello spaccio di falsi poteri. Di vie facili come quella a vicolo cieco che svende la criminalità organizzata. Don Ciotti va avanti nel suo interventi, che conclude la XXII Giornata della Memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie. Il suo è un NO più convinto alla rassegnazione.
La terapia c’è. Eccola. L’urgenza è rimediare alla disoccupazione e alla povertà, perché il lavoro, la scuola, i percorsi educativi, i servizi sociali restano il primo antidoto alla “peste mafiosa”. Importante è che la lotta alla corruzione non resti teorica ma sia realistica, proprio perché “la legalità – ha aggiunto – non può essere un insieme di principi sacrosanti ma astratti, bensì un ponte tra la responsabilità e la coscienza di essere persona sociale ed il ruolo attivo e positivo che giochiamo nella nostra comunità. Sull’assenza di progetti e proposte concrete e credibili, rischiamo di rassegnarci alle mafie come un male inevitabile. Assenza di progetti che induce i giovani a bussare ai malavitosi”. Don Ciotti riprende le sue parole scritte a penna. Parla col cuore. Espressioni rese più forti dai gesti che la accompagnano. A tratti si ferma. Per fare passare il rombo del motore dell’elicottero del presidente del Senato Grasso, che circola sulla piazza gremita o perché perde il filo dei suo scritto vergati a mano. A tratti, abbandona gli appunti e intermezza il suo intervento con qualche battuta con il questore di Reggio Calabria o il generale comandate dell’Arma dei carabinieri, seduti in prima fila. Già, i suoi “amici sbirri”. E riserva un solo accenno alle scritte anonime della notte prima, apparse sui musi di Locri. “Oggi tutti ci sentiamo tutti calabresi e ci sentiamo tutti sbirri”. Applausi interminabili e bandiere al venti, quasi per dare una risposta corale ai delinquenti che avevano tentato di condizionare la giornata. Scruta davanti al palco il sindaco della Città metropolitana Falcomatà e fa un richiamo al padre che fu sindaco di Reggio. Invita a cominciare tutti a lavorare alla “città educativa”, capace di una formazione integrale e dove i giovani non siano più protagonisti passivi della vita sociale e della città. Ricorda don Italo Calabrò e lo chiama suo “maestro”, il prete di Reggio al servizio dell’uomo. Don Ciotti cita Corrado Alvaro quando si riferisce alla politica. “Abbiamo il diritto di sapere non solo ciò che i rappresentati del popolo hanno in testa, ma anche quello che hanno in tasca”, scriveva lo scrittore di San Luca. E giù contro la corruzione, ferita sociale e profonda anomalia etica. Questo il suo appello finale: “Si approvi il codice antimafia sulle confische dei beni, non si arretri sulle norme in materie di appalti, si approvi con urgenza la proposta di legge sul gioco d’azzardo e la riforma sul caporalato”.
di Francesco Sorgiovanni