Limbadi – Dal caso Rossella Casini alle donne vittime della violenza criminale

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Dal caso Rossella Casini alle donne vittime della violenza criminale

Nella villa confiscata il seminario sulla studentessa di Firenze uccisa Presenti gli alunni

Pino Brosio Limbadi

Un seminario di studi su Rossella Casini, la giovane universitaria fiorentina ammazzata dalla mafia nel 1981 ed alla quale è stata intitolata l’Università della ricerca, della memoria e dell’impegno (Unirimi), dà il via al progetto ideato dai volontari dell’associazione “San Benedetto Abate” di Cetraro, che gestiranno gli immobili confiscati alla ‘ndrangheta, e da don Ennio Stamile, coordinatore regionale di “Libera”, che nell’iniziativa ha creduto sin dal primo minuto.

A seguire i lavori, coordinati dal giornalista Michele Albanese, oltre al prefetto Francesco Zito, al questore Annino Gargano e alla terna commissariale guidata da Antonio Reppucci, ci sono i responsabili delle forze dell’ordine del Vibonese, i familiari di Matteo Vinci e di Maria Chindamo, l’ex parlamentare Angela Napoli. Sono presenti anche gli alunni della scuola media di Limbadi e a quelli del liceo classico e dell’Itis di Nicotera. Per impegni inderogabili, risultano assenti Marisa Manzini, consulente della commissione nazionale antimafia, ed il prefetto di Firenze, Laura Lega. Al centro dell’attenzione, per quasi tre ore, finiscono non solo Rossella Casini, ma anche le vicende di altre donne vittime della violenza criminale.

Donne «con le quali – sottolinea don Marcello Cozzi, autore del libro “Lupare rosa” – noi tutti siamo in debito. Le loro, prima che storie di mafia, sono storie di amori distorti, di concezione sbagliata dell’amore, di una cultura che vede l’amore come atto di possesso». Il loro calvario comincia da quando sono adolescenti. «Molti matrimoni – sottolinea don Cozzi – ancora oggi sono decisi a tavolino; non si sposano due ragazzi che si vogliono, bensì le loro famiglie. Sono forme di integralismo di una cultura ‘ndranghetista retaggio di una preistoria culturale che va sconfitta». Non a caso tutti relatori presenti s’appellano non solo alle ragazze presenti in sala esortandole a decidere con la loro testa, ma anche ai ragazzi ai quali don Cozzi ricorda che «le fidanzatine non devono essere intese come proprietà privata, ma qualcosa di ben diverso».

Interessante anche l’intervento di Patrizia Surace, componente onoraria del Tribunale dei minorenni di Reggio Calabria. «Lavoriamo per voi – dice agli studenti – ma le istituzioni da sole non possono farcela. Fondamentale potrebbe essere il ruolo delle mamme che hanno compreso che il destino dei loro figli è segnato. Ne abbiamo trattate 25, ma ce ne sono tante altre che cercano il dialogo col Tribunale e chiedono consigli e aiuto». Ruolo di primaria importanza anche quello della scuola che, però, «sembra avere – rimarca – difficoltà ad intercettare i disagi. È come se ci fosse difficoltà di comunicazione e questo non va bene. Alla resa dei conti – conclude – la Procura dei minori lavora per tutelare i ragazzi e per offrire a chi vive condizioni di disagio familiare di avere un libertà di scelta».

Applaudita anche la recita di Fiamma Negri e Giusi Salis autrici di “Rossella e le altre”, un omaggio alla memoria di una donna la cui unica colpa è stata quella di entrare a contatto, per amore, con un ambiente in cui i sentimenti non trovano spazio.

Già al lavoro i volontaridella San Benedetto Abateche gestiscono gli immobili

Sotto la lente140 anni di sangue

Nel seminario s’è parlato di donne vittime innocenti della violenza ‘ndranghetista. Storie da raccontare, per non cancellarne la memoria. Storie di donne sole e ingabbiate che magari alimentavano i sogni chattando su Internet, ma anche «storie di sbirri – dice don Cozzi – che si levano la divisa e diventano compagni di strada, confidenti, punti di riferimento. Storie di speranze e di dolore, di pezzi di Stato che si fanno prossimo per lenire gli affanni»

Le vittime innocenti di mafia, stando ai dati di don Cozzi, sono 1.111. Il primo a cadere (1789) Giorgio Ventura, sindaco di Bolognetta (Pa), poi Emanuele Notarbartolo nel 1890. 140 anni di sangue che solo baluardi di legalità come quello eretto a Limbadi possono fermare.

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