Più del 90% è concentrato in 6 regioni (Sicilia, Campania, Calabria, Puglia, Lazio e Lombardia). Oltre 3.500 le aziende sottratte alla criminalità, su ben 1.893 l’Agenzia non ha ancora deciso la destinazione. Studio coordinato dalla Fondazione Con il Sud.
Sono 23.576 i beni immobili confiscati alla criminalità organizzata. Oltre il 90% di questo dato – risalente al febbraio 2016 – risulta concentrato in 6 regioni: Sicilia 43,5%, Campania 12,7%, Calabria 12%, Puglia 9,4%, Lazio 7%, Lombardia 6,8%. Non disponibili invece i dati sul numero di beni utilizzati, tranne quelli relativi a una ricerca di Libera che ha individuato 525 soggetti del terzo settore che hanno valorizzato i beni confiscati. È il risultato di uno studio – presentato oggi nella sede dell’Acri a Roma – nato dal gruppo di lavoro coordinato dalla Fondazione Con il Sud e costituito dalla Forum del terzo settore, dalla Fondazione Cariplo, dalla Fondazione Cariparo, dalla Fondazione Sicilia e dalla Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna.
Per quel che riguarda le aziende, risultano essere 3.585 quelle confiscate. Le regioni maggiormente interessate sono le stesse elencate per i beni immobili, con una maggiore incidenza in Campania. Meno di 10 le aziende date in gestione a cooperative di dipendenti e ben 1.893 quelle in carico all’Agenzia che non ne ha ancora deciso la destinazione.
Somme in denaro. L’ultimo dato disponibile (giugno 2015) quantifica in 3.487 miliardi di euro le risorse confiscate alle mafie e confluite nel Fondo unico di giustizia (Fug), di cui 1,4 liquide e 2,05 non liquide. Ma anche in questo caso non mancano le criticità nel loro riutilizzo, come evidenziato dalla Corte dei Conti nel 2014. Secondo i giudici contabili, le maggiori difficoltà sono rappresentate “dal numero non indifferente di uffici giudiziari che non hanno mai effettuato comunicazioni di provvedimenti di pertinenza del Fug; dal mancato passaggio al Fondo di molte liquidità oggetto di sequestro” e della ‘diffusa abitudine’ degli amministratori giudiziari “a non soddisfare gli obblighi di rendicontazione”.
Secondo lo studio, poi, la mancanza di dati attendibili – in particolar modo per i beni immobili – è sintomo di una “grave sottovalutazione” a livello istituzionale della rilevanza del tema. Questo nonostante i 21 milioni di euro – destinati nel precedente ciclo della programmazione dei fondi strutturali per i progetti ‘Regio’ e ‘Sit-Mp’ – stanziati proprio allo scopo di garantire un continuo scambio di dati e informazioni sui sequestri, sulle confische e sulla gestione dei beni confiscati.
Tra le cause individuate: una mancanza di trasparenza, pubblicità e parità di trattamento nelle assegnazioni; isolamento dei Comuni e frammentazione degli interventi; assenza di programmazione; assenza di strategia; ridotta capacità amministrativa e tecnica di progettazione. (DIRE)
Fonte Redattore Sociale