Già dal titolo, “Prendersi cura di chi ci cura”, il progetto di ricerca promosso dall’Anmil (Associazione Nazionale fra lavoratori mutilati ed invalidi del lavoro) libera il campo da erronee interpretazioni di sorta: le operatrici sanitarie, che ormai rappresentano il 70% del personale nell’ambito specifico, sono maggiormente sottoposte al rischio di infortunio. E non sono solo i dati in possesso dell’Inail a darne conferma (le patologie dell’apparato muscolo-scheletrico dovute a traumi da sforzo da sollevamento di pesi e persone, i rischi derivanti dall’esposizione ad agenti chimici e biologici nonché da fattori psicosociali come lo stress lavoro-correlato, sembrano a conti fatti riguardare più le donne che gli uomini), come ha tenuto a precisare Maria Rossella Frangella, vicario della sede dell’Inail di Catanzaro, nel corso della giornata nazionale promossa giovedì, nella Sala Multimediale del nosocomio cittadino, dalla sezione provinciale dell’Anmil in contemporanea con le altre sedi d’Italia.
C’è stato anche chi, come Giuseppe Scalzo, responsabile del servizio prevenzione dell’ospedale “Pugliese” – alla presenza, oltre che della Frangella, di Luigi Cuomo, presidente della sezione provinciale dell’Anmil promotrice dell’iniziativa; Nicola Pelle, direttore sanitario, Mariella Leto, in rappresentanza del Collegio dell’Ordine degli Infermieri e Mario Cortese, presidente del Centro Servizi al Volontariato della provincia di Catanzaro – ha posto l’attenzione sulle differenze di genere tra i lavoratori che, in termini di infortuni, seppur di lieve entità, vedono le operatrici sanitarie del Pugliese in netto svantaggio. Dei circa 110 infortuni rilevati nel 2014, infatti, tra cadute, traumi e contusioni, sono state proprio le donne a pagare il prezzo più alto.
Ma è soprattutto il dato degli incidenti stradali “in itinere”, da o verso il posto di lavoro, a dare contezza dello stress lavoro-correlato che in una professione legata all’ambito sanitario non è di certo trascurabile, specie in considerazione del fatto che sono proprio le donne ad esserne perlopiù protagoniste (dei diciotto incidenti stradali registrati nel corso dell’anno dal personale ospedaliero, quindici hanno riguardato le donne), sulle quali grava, oltre all’eccessivo carico lavorativo, anche quello legato al ménage familiare.
Eppure, pur essendoci delle direttive europee che muovono in tale direzione, ed un testo unico che obbliga a tenere conto delle misure di sicurezza in ambito lavorativo, lo stress lavoro-correlato non è riconosciuto dall’Inail come malattia professionale: è importante, però – ha fatto notare la Frangella – che i rischi vengano compresi per essere superati, e che quindi il personale medico e paramedico sia messo nelle condizioni di poter operare al meglio per garantire la maggiore efficienza possibile soprattutto all’ammalato.
La testimonianza di Domenico Mazzei, giovane infermiere presso una clinica privata, che ha messo in evidenza come il calcolo dei rischi presenti in corsia sia da sempre stato sottovalutato, ha dato il via ad un dibattito molto acceso – e moderato dall’addetta stampa del CSV di Catanzaro, Benedetta Garofalo – tra i membri del personale medico ed infermieristico presente. Enzo La Croce, ad esempio, ha insistito sulla carenza del personale (solo al Pugliese si annoverano 700 unità in meno) come la causa di tutti i mali, ed anche gli interventi successivi hanno fatto leva sul mancato ingresso di nuove forze lavoro, e quindi sugli eccessivi carichi di lavoro distribuiti tra il personale medico e paramedico ormai stanco e logorato.
Con la lettura della relazione, il presidente Cuomo ha infine richiamato l’attenzione sulla proposta di legge, a firma della senatrice Silvana Amati, che ha come obiettivo l’ottenimento di un trattamento più adeguato per i superstiti dei caduti sul lavoro, con particolare riguardo ai figli, ed il rispetto dell’obbligo di riserva di quote in ambito occupazionale per l’inserimento di vedove e di orfani di caduti sul lavoro.