“Esistono leggi non scritte ben più importanti dei tuoi decreti!”
Antigone, donna coraggiosa, così si oppone al tiranno Creonte…
Ebbene in Calabria, guarda caso proprio a Reggio l’antica Rhegion cuore della Magna Grecia, sta accadendo esattamente ciò per cui Antigone lottò contro l’epica ingiustizia degli “ordini urlati” di Creonte. La differenza è che mentre la fiera Tebana combatteva per dare degna sepoltura al fratello Polinice, contro il volere del nuovo tiranno, a Reggio un decreto ingiusto rischia di “seppellire” i diritti più elementari dei cittadini più fragili e poveri.
Ma si faccia bene attenzione: non si tratta dell’ennesima tragedia di una terra martoriata. Non si tratta di un drammatico appello di una città già in ginocchio. Non è dovuto ai soliti problemi locali. Ciò che sta succedendo a Reggio sappiamo per certo che è già avvenuto in altri Comuni (Napoli per esempio), e se non si interviene con immediatezza prima o poi accadrà in ogni Comune che si dovesse trovare ad attraversare una crisi economica, finanziaria o anche semplicemente di liquidità. E tutti sappiamo molto bene che i comuni italiani a rischio in questo momento sono tantissimi, dal nord al sud della penisola.
Stiamo parlando di un Decreto del Ministero dell’Interno, emesso di concerto con il Ministero del Tesoro, risalente al 28 maggio del 1993 e che indica all’art. 1 i cosiddetti “servizi locali indispensabili”, quei servizi, per dirla in parole semplici, che non possono essere interrotti perché essenziali per la vita della Comunità. Un Decreto Legislativo il n.504/92 li definisce come “condizioni minime di organizzazione dei servizi pubblici locali diffusi sul territorio con caratteristica di uniformità”. Il tutto ovviamente ha sottesa una motivazione economica. Qualche mese prima infatti, il 18 gennaio del 1993 un altro decreto, convertito con la legge n.68/93, stabiliva che necessitava individuare i suddetti servizi al fine di determinare la “non assoggettabilità ad esecuzione forzata” delle somme necessarie per garantirli. In altre parole lo Stato, legittimamente, ha inteso sottrarre ai tanti creditori dei comuni (ed anche delle province e delle comunità montane) la possibilità di pignorare i fondi necessari per pagare gli stipendi degli impiegati comunali, per le forniture d’acqua, per i cimiteri, per le fognature, per le scuole, per la nettezza urbana, ma anche per gli organi istituzionali, per l’anagrafe, lo stato civile, il servizio statistico. Insomma c’è di tutto, ed anche di più.
Ciò che manca, guarda caso, sono i servizi sociali, quei servizi cioè che ogni comune deve garantire, in ossequio alla carta Costituzionale ed alla stessa legge (vedi ad esempio la L.328/00 che richiama espressamente ai livelli essenziali di assistenza). Servizi che, evidentemente, non vengono ritenuti “essenziali” e solo perché un decreto miope e datato, anteriore alla riforma costituzionale del 2001, non li elenca tra quelli che determinano le “condizioni minime”. Ed allora dovremmo chiederci quali sono le condizioni minime? Non è forse condizione minima di civiltà il fatto che gli anziani vengano assistiti, che le persone con disabilità possano fruire di trasporto e centri diurni, che i giovani ed i minori abbiano opportunità educative, che vi sia assistenza domiciliare, lotta alla povertà, all’emarginazione, accoglienza di migranti e rifugiati? Forse può non esserlo per gli “ordini gridati” di Creonte, ma certo non può non esserlo per quelle leggi non scritte, che insegnano solidarietà, uguaglianza e dignità. Non sempre le leggi sono giuste e non sempre purtroppo la legalità coincide con la giustizia.
Ecco perché, come Antigone, ci troviamo a gridare disperati perché non vogliamo assistere, nel nostro Paese, alla morte definitiva della giustizia sociale.
Chiediamo a gran voce, a tutti coloro i quali ne hanno il dovere istituzionale, a partire dai Ministri e dai Parlamentari della Repubblica, di intervenire con immediatezza per eliminare tale indicibile vergogna, inserendo i servizi verso i cittadini più deboli e fragili tra le condizioni minime, essenziali ed irrinunciabili.
Chiediamo a chiunque ne abbia competenza e potere di esercitare il proprio ruolo nel rimarcare l’indifferibilità di quei servizi che rappresentano ad oggi, in ogni angolo d’Italia, altrettanti diritti minimi di cittadinanza, livelli essenziali di assistenza.
Chiediamo alla cosiddetta società civile, a tutti i cittadini che si riconoscono nei valori fondanti della Carta Costituzionale, di esercitare la propria sovranità, sancita dall’art. 1 della Costituzione, pretendendo dalla classe politica dirigente l’inserimento dei servizi sociali tra le condizioni minime di civile convivenza.
Il Portavoce
Luciano Squillaci