A cinque mesi dall’avvio, il Sostegno all’inclusione attiva aveva raggiunto solo un nucleo in povertà su tre tra i potenziali beneficiari, ma le cose stanno cambiando. Il bilancio fatto da un’indagine presentata a Roma dall’Alleanza contro la povertà. E a gennaio arriva il Rei.
ROMA – A cinque mesi dall’avvio, aveva raggiunto solo un nucleo in povertà su tre tra i potenziali beneficiari, ma le cose stanno cambiando. Il bilancio realizzato dall’Alleanza contro la povertà sul sostegno all’inclusione attiva, il Sia, che da gennaio 2018 cederà il testimone al Reddito di inclusione, parla chiaro: sui territori si incontrano tante difficoltà, ma “quando gli ambiti riescono a mettere a sistema e integrare le scarse risorse, se sostenuti da regioni in grado di svolgere una funzione forte di programmazione e regia, anche in contesti fragili riescono a gestire la misura ottenendo buone performance”.
Sono queste le conclusioni a cui è arrivato il “Rapporto di valutazione dal Sia al Rei” presentato ieri pomeriggio in Senato dall’Alleanza. Un lavoro di monitoraggio voluto “per valutare quale è stato l’impatto nel primo anno di introduzione di una misura strutturale contro la povertà assoluta”, spiega il portavoce dell’Alleanza e presidente delle Acli, Roberto Rossini, che ha dimostrato in primo luogo che “sui territori, nelle varie amministrazioni comunali, c’è stato un impegno forte da parte di tutti. Abbiamo verificato che c’è stato uno sforzo straordinario per provare ad applicare una misura strutturale, anche se ponte, come il Sia. Dobbiamo dare atto agli assistenti sociali e agli assessori alle politiche sociali di aver capito questo cambio di paradigma”.
I dati dell’indagine. L’indagine, coordinata da Liliana Leone, direttore del Cevas e responsabile scientifica della ricerca, è stata condotta tra aprile e giugno 2017 tramite un questionario rivolto a tutti gli Ambiti territoriali sociali (Ats). La ricerca, complessivamente, ha interessato 17 regioni e 332 ambiti pari al 56 per cento degli Ats del paese. A rispondere il 71 per cento degli ambiti del Nord contro il 52 per cento del Sud e delle Isole e il 30 per cento del Centro Italia. Diverse le difficoltà emerse dall’indagine.
È al Sud, nelle cinque regioni in via di sviluppo (Sicilia, Calabria, Puglia, Basilicata e Campania), che si riscontrano le principali barriere all’implementazione del Sia. “Con il 29 per cento della popolazione italiana – spiega il rapporto -, ricevono il 71 per cento dei fondi destinati al rafforzamento dei servizi (Pon inclusione) per la presa in carico del 47 per cento della platea dei beneficiari previsti dal Sia a livello nazionale. Al contempo, tali regioni hanno più Ats di piccole dimensioni, quindi con maggiori difficoltà a creare economie di scala nella gestione associata dei servizi, una percentuale inferiore di assistenti sociali presenti in rapporto alla popolazione, una presenza maggiore di comuni in default e una ridotta competenza delle amministrazioni comunali sulle tecnologie dell’informazione e della comunicazione”.
Le amministrazioni più fragili, spiega la ricerca, “sono quelle che dovranno gestire le risorse ingenti dei fondi strutturali destinate alle regioni del Sud che prevedono vincoli strumenti per la programmazione e la rendicontazione”.
Tra le difficoltà e i ritardi segnalati ci sono quelli che riguardano il coordinamento territoriale degli interventi di contrasto e il raccordo tra interventi sociali e di attivazione lavorativa su cui le regioni giocano un ruolo importante. Secondo lo studio, forme di integrazione tra questi servizi erano presenti prima dell’arrivo del Sia in poco più della metà degli ambiti. Difficoltà riscontrate anche nella costituzione di equipe multidisciplinari, anche qui costituite in poco più della metà degli ambiti (il 58 per cento) con una maggiore presenza al Nord rispetto al Sud. Tuttavia, “grazie all’avvio del Sia gli accordi e i protocolli di intesa con i Centri per l’impiego risultano essere presenti nel 92 per cento degli Ambiti e quelli con le agenzie per il lavoro nel 24 per cento dei casi”. Meno presenti, con percentuali tutte intorno al 30 per cento, i protocolli di intesa i centri di formazione professionale, le scuole, i servizi per le dipendenze, i servizi sanitari dedicati ai minori, altri servizi sanitari. “In quasi tutti i casi da noi analizzati emerge una difficoltà di rapporto con i centri per l’impiego dovuta a diversi fattori storici e contestuali”, spiega il rapporto. C’è anche una “debolezza delle competenze degli operatori circa la presa in carico congiunta della nuova utenza e la presenza di pregiudizi negativi sull’esito dei percorsi di attivazione dei beneficiari del Sia”. Difficoltà sono emerse anche nei rapporti con l’Inps rispetto alle comunicazioni con le Ats rispetto alla gestione della piattaforma informativa su cui si caricano le domande per l’accesso al Sia, ma anche nella comunicazione tra Inps e cittadino.
Poche famiglie raggiunte. Con tutte queste difficoltà riscontrate sul territorio, non c’è da stupirsi quindi se a cinque mesi dall’avvio, il Sia aveva raggiunto poco meno di un nucleo su tre tra i potenziali beneficiari, anche se nei mesi successivi la situazione è migliorata, anche se ancora “modesta”. Tuttavia, spiega il rapporto, la soglia ditake–up individuata dall’indagine risulta essere in linea con quella di altre misure di integrazione al reddito con condizionalita` presenti nella letteratura sui Paesi Ocse.
Dalle rilevazioni, però, emerge un dato di particolare interesse, già evidenziato con la sperimentazione del Sia nelle 12 città, soprattutto nel caso di Roma. “Il Sia intercetta nuclei beneficiari in condizioni di poverta` non in carico ai servizi – spiega il rapporto -. Il 45 per cento degli Ats delle regioni del Sud (molti in Campania e Sicilia) afferma che ‘nessuna o poche’ delle domande di Sia riguardano nuclei gia` conosciuti, mentre tale percentuale scende al 25 per cento nel caso degli Ats del Centro-Nord”.
Difficile anche avviare i progetti personalizzati, come previsto dalle linee guida sul Sia del ministero del Lavoro e delle Politiche sociali. Solo un ambito territoriale su tre (il 33 per cento) a maggio 2017 dichiarava di esserci riuscito. “Si conferma uno squilibrio tra macro aree regionali con una differenza di 24 punti percentuali tra Ambiti territoriali al Sud (19 per cento) e del Centro Nord (43 per cento) – spiega il rapporto -. Un terzo degli ambiti tuttavia, il 32 per cento al Sud e il 19 per cento al Nord, è riuscito a predisporre i progetti personalizzati per meno di un quarto dei nuclei beneficiari cioè per una parte molto ridotta degli aventi diritto. Quasi un terzo degli ambiti rispondenti dichiara spesso o frequentemente la mancata predisposizione dei progetti personalizzati è dovuta alla scarsità delle risorse e solo il 5 per cento degli Ats del Sud e il 17 per cento di quelli del Centro nord non riportano problemi dovuti a tali carenze”.
Terzo settore poco coinvolto. Un bilancio nazionale sul Sia che mostra ancora poco coinvolto il mondo del terzo settore a livello territoriale. Secondo il rapporto, i diversi attori del terzo settore “quasi mai hanno svolto un ruolo di co-progettazione per la definizione dei contenuti della proposta progettuale per il rafforzamento della rete dei servizi presentata sul bando non competitivo del Pon inclusione – spiega il testo -. Anche nei protocolli sottoscritti dagli Ats per la gestione della misura i diversi soggetti del terzo settore compaiono in percentuali molto ridotte, comprese tra il 13 e il 23 per cento delle intese”.
Per il portavoce dell’Alleanza contro la povertà, Roberto Rossini, però bisogna puntare proprio sul coinvolgimento di tutti gli attori sul territorio e sul welfare locale. “Dobbiamo riuscire a fare in modo che ci sia un coordinamento tra i vari soggetti che si occupano del tema dell’esclusione sociale, i centri per l’impiego, il mondo del terzo settore e i vari livelli dell’ente pubblico, come regioni, comuni e ambiti – ha aggiunto Rossini a margine della conferenza stampa di oggi -. Dobbiamo riuscire a far lavorare tutti questi attori in maniera coordinata attorno ad un progetto, un progetto personalizzato per ogni povero e avente diritto. E questo progetto può essere fatto attraverso gli assistenti sociali. Ed è per questa ragione che noi chiediamo anche di derogare all’assunzione di personale pubblico sul tema degli assistenti sociali. Se non ci sono loro viene a mancare uno dei perni fondamentali di questa riforma. Il tema di maggiori risorse al welfare locale è a saldo invariato, quindi si tratta di spostare di qualche mese l’universalismo della misura per poter intervenire sul welfare locale. Comprendiamo le difficoltà quando si parla di legge di bilancio, ma stiamo parlando dei poveri, della parte più fragile di questo paese. Su questo noi chiediamo una particolare attenzione”. (ga)
Fonte Redattore Sociale