Al 1° gennaio 2023 le stime dell’ISTAT indicano la presenza di 5.050.257 cittadini stranieri residenti in Italia, in lieve aumento rispetto ai dati definitivi riferiti all’anno precedente (5.030.716), in maggioranza nel Nord Italia (59,1% dei residenti totali). Quanto alle principali nazionalità, oltre alla consolidata prima posizione dei cittadini rumeni, e alle successive seconda e terza dei cittadini marocchini e albanesi (che si attestano all’8,4% e all’8,3% del totale), notiamo sempre più un avvicendamento delle provenienze asiatiche (del Sud Est, in particolare): quelle di più storica presenza (come Cina e Filippine) sono in decremento, mentre quelle di più recente arrivo (come Bangladesh e Pakistan) stanno consolidando il loro percorso migratorio in Italia.
Sono alcuni dei dati che emergono dalla XXXII edizione del Rapporto Immigrazione realizzato da Caritas Italiana e Fondazione Migrantes presentato il 17 ottobre a Roma. Secondo i dati forniti nel Rapporto i nuovi nati stranieri dal 2012 al 2021 sono diminuiti del 28,7%, passando da quasi 80 mila a meno di 57 mila: è ormai da un decennio che il numero di nuovi nati stranieri diminuisce costantemente e sempre più (-5% negli ultimi due anni). Per quanto riguarda i lavoratori stranieri, per quelli non-Ue il tasso di occupazione si è attestato su valori leggermente inferiori alla media (59,2% contro il 60,1%). In riferimento alle tipologie contrattuali, l’87% degli occupati stranieri è un lavoratore dipendente e il restante 12,9% ha un contratto di lavoro autonomo. Il 75,2% degli occupati non-Ue svolge la professione di operaio (contro il 31,6% degli italiani), mentre solo 1 su 10 è un impiegato e appena lo 0,1% è dirigente. Fra le maggiori criticità figura lo scarso coinvolgimento delle donne non-Ue nel mercato del lavoro in Italia. Alle fragilità di chi è senza un impiego si aggiungono quelle di chi un lavoro lo possiede: il fenomeno della inwork poverty ha registrato una forte recrudescenza negli ultimi anni, tra cittadini stranieri e non: secondo le ultime stime ISTAT, il 7% degli occupati in Italia vive in una condizione di povertà assoluta, percentuale che sale al 13,3% tra i lavoratori meno qualificati e al 31,1% tra gli stranieri. Il totale degli alunni con cittadinanza non italiana nell’anno scolastico 2021/2022, è di 872.360, e la percentuale dei nati in Italia cresce sempre più fino ad arrivare al 65,6%, con punte ancora più alte per alcune nazionalità, come la cinese (88%), la marocchina e la filippina (entrambe oltre il 75%): una realtà ancora non intercettata dalla legislazione sull’acquisizione di cittadinanza. Rispetto all’anno precedente, si è assistito ad un aumento degli ingressi di minori in carcere, sia italiani sia stranieri: segno di dinamiche di disagio giovanile, che si esprimono anche nel fenomeno delle bande giovanili. Il tema della cultura è tanto significativo per la comprensione della nostra società quanto ampio ed eterogeneo. Anche in conseguenze della guerra in Ucraina, aumentano le “voci” delle persone migranti nell’informazione italiana, ma non a tutti è offerta pari opportunità di esprimersi. Di contro, si sente l’esigenza di un maggiore coinvolgimento di persone di origine straniera nelle redazioni giornalistiche e su temi non solo riconducibili alla mobilità, ma all’attualità, alla politica, alla economia e in ogni ambito della vita quotidiana. “La conoscenza dei molteplici aspetti dell’immigrazione – senza trascurare le ragioni che portano a lasciare la propria casa e il proprio Paese – risulta utile per comprenderne la reale portata e il ‘volto’, anche in relazione al rapporto tra le persone che arrivano e la società che accoglie”, scrive in apertura del volume mons. Giuseppe Baturi, Arcivescovo di Cagliari e Segretario Generale della Conferenza Episcopale Italiana. Per il segretario generale della CEI “accoglienza e integrazione richiedono la reciproca disponibilità a un ‘incontro’ che vada nel rispetto di entrambe le parti. Il percorso in questo senso appare carico di interrogativi, persino di tensioni: per tale ragione risulta ‘necessario – come si legge nel Rapporto – un cambiamento della narrazione, per superare quella dell’emergenza’”.