Rapporto sui diritti fondamentali: per i disabili esistono, ma solo sulla carta

Dossier “L’Articolo 3”, realizzato da “A buon diritto”. Scarsi finanziamenti e scelte politiche ostacolano l’attuazione delle leggi per l’eliminazione delle barriere architettoniche e per i progetti di cura domiciliare, istruzione e lavoro. Il 21% delle famiglie è a rischio povertà.
ROMA – Nonostante l’esistenza di un “Programma di azione biennale per la promozione dei diritti e l’integrazione del-le persone con disabilità”, basato sulla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità (ratificata  con la legge 18 del 3 marzo 2009), “i diversi impegni assunti dallo Stato italiano nei confronti dei disabili hanno un carattere meramente programmatico giacché ‘risultano finanziabili nei limiti degli stanziamenti previsti’, come puntualizzato nella relazione illustrativa dello stesso al Consiglio dei ministri”. Lo afferma il dossier “L’Articolo 3”, primo rapporto sullo stato di attuazione dei diritti fondamentali in Italia realizzato da “A Buon Diritto”, nel capitolo “Disabilità e persona” di Domenico Massano e Angela De Giorgio. Gli autori sottolineano che esiste il rischio “che il Programma d’azione si riduca all’ennesima dichiarazione d’intenti” e che “sortisca l’effetto paradossale di riconoscere alle persone con disabilità diritti e dignità solo a patto che siano finanziariamente sostenibili”.

In particolare sono due le leggi a tutela delle persone con disabilità che in Italia risultano inapplicate: la 41/1986 per l’eliminazione delle barriere architettoniche e la 328/2000 che prevede i “progetti individuali” di assistenza domiciliare, lavoro e istruzione concordati tra comune, Asl e beneficiari, al fine di favorire interventi tra le mura domestiche del disabile, evitandone la segregazione in strutture ad hoc. Non solo la mancanza di fondi, ma anche scelte politiche vengono indicate dagli autori come responsabili della mancata attuazione della legge 328/2000 sul sostegno alla domiciliarità e ai percorsi di vita indipendente. Massano e De Giorgio ricordano come il 23 ottobre 2013 sia morto Raffaele Pennacchio, 55 anni, medico, malato di Sla e membro del direttivo del Comitato 16 novembre Onlus, dopo la partecipazione, a un presidio sotto il Ministero dell’Economia, “in cui si chiedeva una riduzione del finanziamento destinato agli inserimenti in strutture sanitarie/assistenziali, a favore dell’incremento dei fondi per l’assistenza domiciliare destinata ai disabili gravi e gravissimi”, “garantendo loro il diritto a restare a casa con dignità e cure amorevoli e, parallelamente, con un risparmio sui costi d’inserimento in struttura del 50%”. Gli autori evidenziano che i costi per le residenze “vanno a finanziare realtà e contesti che si rivelano essere teatri di violenze ingiustificabili”, “come quelle avvenute nella residenza «I Cedri» in Liguria che hanno determinato l’arresto di 7 operatori nel dicembre 2012”, “o come quelle avvenute a Meta di Sorrento, dove nel luglio 2013 sono stati denunciati episodi di segregazione ai danni di 37 persone con disabilità”.

Massano e De Giorgio rilevano come i dati dell’Istat relativi al periodo 2004-2011 mostrino che oltre il 21% delle “famiglie con disabilità” in Italia è a rischio povertà, contro il 18% circa delle famiglie senza componenti con disabilità. Il rapporto tra povertà e disabilità risulta ulteriormente aggravato dalle maggiori difficoltà riguardanti l’inserimento lavorativo: Secondo i dati Istat del 2011, solo il 16% delle persone con disabilità tra quindici e settantaquattro anni ha un’occupazione a fronte del 49% del totale della popolazione. La discriminazione che su questo fronte vivono le persone con disabilità è stata denunciata dalla Corte di Giustizia CE-UE che, con la sentenza 4 luglio 2013, n. C-312/11, ha statuito che la Repubblica italiana non ha attivato tutti gli interventi per garantire un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro.

Per quanto riguarda le scuole il testo sottolinea che le ore di sostegno in diversi casi sono state riconosciute solo “dopo le sentenze del TAR che condannavano scuole e Ministero dell’Istruzione a erogare o ripristinare le ore necessarie”. (lj)
fonte: www.redattoresociale.it

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