Il “Rapporto Sussidiarietà e… sviluppo sociale” si è proposto di indagare la relazione tra cultura sussidiaria e perseguimento di un sistema sostenibile (bene comune) e i risultati certificano l’impatto positivo della trasformazione che nasce dal basso, dall’iniziativa personale e dalla creazione di aggregazioni di base e corpi intermedi. Come ha sottolineato il presidente dell’Istat Gian Carlo Blangiardo
Il “Rapporto Sussidiarietà e… sviluppo sociale“ si propone di indagare la relazione tra cultura sussidiaria e perseguimento di un sistema sostenibile (bene comune). Lo studio ipotizza che cuore e punto di partenza di tale sistema sia lo sviluppo sociale, ovvero quella trasformazione che nasce dal basso, dall’iniziativa personale e dalla creazione di aggregazioni di base e corpi intermedi. In altre parole, propone di superare la dialettica Stato-mercato mostrando il valore e le potenzialità del terzo pilastro: la comunità.
Il Rapporto 2021/2022 è una prosecuzione dei temi trattati negli ultimi anni: nel 2017/2018 “Sussidiarietà e… giovani al Sud”, nel 2018/2019 “Sussidiarietà e… PMI per lo sviluppo sostenibile”, nel 2019/2020 “Sussidiarietà e… finanza sostenibile” e nel 2020/2021 “Sussidiarietà e… lavoro sostenibile”. L’orizzonte di riferimento è l’Agenda 2030 delle Nazioni Unite, con i suoi 17 Obiettivi e le strategie che, a livello europeo e nazionale, gli attori pubblici e privati stanno maturando e implementando in tale direzione, anche in attuazione del Pilastro europeo dei diritti sociali, e che guidano l’azione politica verso lo sviluppo di una maggiore equità, inclusione sociale e nuove opportunità.
Il Rapporto, realizzato in collaborazione con Istat, dimostra, con analisi e studi originali, che la sussidiarietà contribuisce al benessere collettivo. Partecipare ad attività sociali e di volontariato migliora la qualità della vita e riduce il rischio di povertà. Lo studio mostra una forte correlazione fra impegno sussidiario e inserimento al lavoro. L’indice è +0,7, in una scala fra 0 e 1. Seguire programmi di formazione continua o attività culturali favorisce l’occupazione, a tutte le età. Così come far parte di associazioni non profit.
La pandemia da Covid-19 e la guerra in Ucraina hanno esaltato il ruolo del non profit; si conferma così la storica vocazione solidale della penisola. Il Terzo settore conta oltre 375.000 istituzioni, il 25% in più in un decennio. È un universo fatto di associazioni, fondazioni, cooperative e sindacati. La produzione del non profit è stimata in 80 miliardi di euro, ovvero quasi il 5% del PIL. Gli addetti sono oltre 900.000, di cui il 70% donne, a loro si aggiungono 4 milioni di volontari. In questo contesto è sempre più popolare il 5×1000 dell’Irpef, il contributo destinato agli enti del Terzo settore. In un decennio le erogazioni sono cresciute del 61%, sfiorando i 520 milioni di euro annuali; i contribuenti che assegnano il 5×1000 sono oltre 15 milioni, quasi quattro su dieci.
Allo studio hanno contribuito docenti universitari e operatori sul campo. I ricercatori hanno approfondito quattro casi concreti: Portofranco, che opera per prevenire gli abbandoni scolastici; i Banchi di Solidarietà, per il contrasto alla povertà; Progetto Arca, per l’inclusione sociale; Fondazione don Gnocchi, in ambito socio-sanitario. Quattro esperienze esemplari, con un impatto da cinque a dieci volte superiore rispetto alle risorse investite.
Lo studio dimostra che lo sviluppo sostenibile si può raggiungere solo con la spinta dal basso, frutto della cultura sussidiaria. Il Rapporto si compone di cinque parti che sviluppano una riflessione composta e articolata intorno al tema del contributo della sussidiarietà alla promozione di una ripresa e una crescita più sostenibile, equa e inclusiva. Il tema appare di estrema attualità alla luce delle crescenti disuguaglianze che si sono determinate negli ultimi decenni e che sono state aggravate dallo scoppio della crisi derivante dalla pandemia da Covid-19. Il filo conduttore del Rapporto è costituito dal tema dell’intervento sussidiario delle varie componenti della società e del loro possibile contributo allo sviluppo sociale e alla felicità pubblica.
Gian Carlo Blangiardo, presidente Istat, ha presentato i risultati della ricerca a cui hanno contribuito Matteo Mazziotta e Giorgio Vittadini, che utilizza puntuali analisi statistiche e avanzate metodologie al fine di dimostrare la connessione esistente tra sentimento di sé relazionale, partecipazione ad attività civiche collettive (sussidiarietà) e il miglioramento complessivo delle condizioni di vita. Si tratta di tre fenomeni complessi, ognuno dei quali è costituito da una complessità di fattori diversi, per misurare i quali si sono costruiti appositi e originali indicatori compositi, sulla base di alcuni indicatori regionali del Benessere Equo e Sostenibile (BES) di Istat.
Il “sentimento di sé relazionale” considera indicatori di soddisfazione elementi quali relazioni sociali, istruzione, lavoro e conciliazione dei tempi di vita, benessere soggettivo e ambiente. La “partecipazione ad attività civiche collettive” viene invece misurata attraverso indicatori di partecipazione alle migliori esperienze di condivisione di attività volte al bene comune e ausilio a realtà più disagevoli. Lo sviluppo sociale, invece, considera indicatori collegati alla salute, istruzione, lavoro e conciliazione dei tempi di vita, benessere economico, innovazione e ricerca, paesaggio culturale, qualità dei servizi e altro ancora. Dalle analisi effettuate dagli autori si dimostra la forte dipendenza reciproca tra “sentimento di sé relazionale”, “partecipazione ad attività civiche collettive” e sviluppo sociale.
Fonte: Vita.it