La recensione di "Fortunata": un film sulla periferia dell'esistenza

fortunata locandina

E’ la periferia la vera protagonista del nuovo film di Sergio Castellitto, “Fortunata”, in questi giorni nelle sale italiane. La periferia dei luoghi – di un imprecisato quartiere popolare romano, in cui si ritrovano a convivere persone di nazionalità ed etnie diverse – si riverbera nella dimensione periferica dell’esistenza che avvolge la parrucchiera a domicilio Fortunata e la figlioletta Barbara, avvezza “agli sputi” per farsi notare dai genitori separati, troppo impegnati a tirare a campare ed a farsi la guerra.

Il caldo estenuante di agosto, che accompagna Fortunata nei suoi andirivieni senza sosta da una casa all’altra, per una piega o un’acconciatura da sposa, rende ancora più asfissiante l’atmosfera narrativa che si completa con le pause, gli sguardi eloquenti dei personaggi, la rabbia “implosa” di alcuni di loro, secondo quello che è lo stile duro e inconfondibile dell’autrice Margaret Mazzantini.
Appartengono al mondo che ruota attorno a Fortunata l’amico d’infanzia, con problemi di tossicodipendenza, che riversa tutte le sue energie nell’individuazione della combinazione numerica perfetta per la vincita al lotto; la madre di quest’ultimo, consumata dall’Alzheimer, imbrigliata in un vortice mentale in cui restano solo barlumi tratti dalla tragedia greca “Antigone”; la “vicina di casa” cinese, che ha imparato ad approfittare delle difficoltà degli italiani senza più mezzi né orgoglio; l’ex marito violento, che pensa a lei come ad un bene di proprietà di cui disporre a notti alterne.
E poi c’è l’ostentata “normalità” dello psicoterapeuta che ha in cura la figlia, e che fa dell’appartenenza alle istituzioni e del rispetto delle regole i suoi cavalli di battaglia, salvo poi invaghirsi di Fortunata fino a possederla e scaricarla alla prima reazione troppo “oltraggiosa” di lei.
La “periferia” esistenziale della desolante povertà economica e culturale – rappresentata dai tristi palazzoni popolari, dalle donne di una certa età che trovano ristoro solo nell’affaccio al balcone, dalle erbacce straripanti dai marciapiedi, dalle buche e pozze d’acqua delle strade – è anche nelle parole masticate dall’inflessione romana, nell’ingombrante passato che segna il presente, nella calma apparente che in un attimo lascia il posto all’amarezza, alla rassegnazione. Al “tutto come prima”.
Ma Fortunata si rialza. Per amore di Barbara.

Ufficio stampa CSV Catanzaro

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