Riforma del terzo settore, lo stato dell’arte
Claudia Fiaschi, portavoce del Forum Nazionale Terzo Settore e primo interlocutore del Governo sui lavori che stanno ridisegnando il terzo settore italiano, fa il punto su tutto quello che è stato fatto e soprattutto che ancora manca da fare per portare a termine la Riforma. «È un lavoro delicato che non è solo di ingegneria normativa ma soprattutto di costante confronto con la realtà. Ci vuole tempo ma la rotta è quella giusta»
Negli ultimi mesi la Riforma del Terzo Settore ha fatto molti passi avanti. Le ultime, in ordine di tempo, sono state le approvazioni dei decreti corretivi dell’impresa sociale e del Codice del terzo settore. In agosto poi il Governo, ascoltando le richieste delle organizzazioni, ha provveduto a prorogare da 18 a 24 mesi il termine per adeguare gli statuti degli enti al nuovo quadro normativo. Rimane però ancora molto da fare. Per capire l’agenda e le urgenze in calendario abbiamo chiesto a Claudia Fiaschi, portavoce del Forum Nazionale Terzo Settore e primo interlocutore al tavolo del Ministero. L’intervista
A che punto son i correttivi alla Riforma del Terzo Settore?
A seguito del parere del Consiglio di Stato, che ha ritenuto che il decreto correttivo non fosse il veicolo giusto per questo tipo di modifiche, la nostra priorità ora è fare in modo che alcuni provvedimenti cardine della Riforma passino attraverso la Legge di Stabilità. Anche alla luce del fatto che per gran parte si tratta di correzioni già condivise e accolte sia dal Governo che dalle Commissioni di Camera e Senato.
Di che modifiche parla?
Mi riferisco in particolare a tutta la parte delle norme fiscali per le associazioni di volontariato e di promozione sociale e anche al ripristino della possibilità per le Organizzazioni di Volontariato di autofinanziare le proprie attività.
Non dovessero arrivare queste correzioni quale sarebbe lo scenario?
Le attuali previsioni, se non corrette, configurano condizioni di svantaggio per il mondo del volontariato edell’associazionismo, portando oggettive difficoltà a svolgere gran parte delle loro tradizionali attività. È necessario un completamento del quadro normativo su questi aspetti, e anche su altri provvedimenti in attesa di essere emanati, per poter utilizzare al meglio la proroga ottenuta nel correttivo per gli adeguamenti statutari, fissata ad agosto 2019.
Oltre però al tema dei correttivi c’è quello che riguarda quei provvedimenti che completino la riforma…
Sì, ne mancano diversi. Alcuni più urgenti di altri. Tra questi quelli che consentano alle organizzazioni di volontariato di decidere il proprio vestito statutario. La proroga dei termini degli adeguamenti degli statuti era un obiettivo importante ed è stato un grande risultato perché eravamo consapevoli della necessità di mettere in condizione le organizzazioni di decidere la nuova identità statuaria e classificare bene le attività che ogni realtà svolge. Tuttavia senza la “definizione delle attività secondarie”, “linee guida del bilancio sociale” e le “linee guida per la raccolta fondi”, provvedimenti ancora in attesa del parere obbligatorio della Cabina di regia, mancano strumenti dirimenti per operare queste scelte così importanti.
Nell’ordine delle priorità quali altre voci sono in agenda?
Oltre a quelli appena citati, un altro provvedimento urgente è l’istituzione del Registro Unico nazionale (RUN). Tutta la parte di accountability, trasparenza gestionale e di identità degli enti passa da lì. Senza Registro alcuni enti rimarranno privi di identità ufficiale e si ritarderebbe tutto lo sforzo che mira a dare una maggiore “leggibilità sociale” al Terzo settore dal punto di vista delle ricadute sociali e della coerenza operativa.
Su questo c’è anche il decreto che riguarda la vigilanza delle imprese sociali?
Assolutamente. Va messo in agenda. Abbiamo un nuovo istituto ma abbiamo anche l’esigenza che chi comincia oggi a fare impresa sociale operi in un quadro regolativo completo e armonizzato anche rispetto alle linee guida della vigilanza che verranno messe in atto.
C’è poi il grande macro tema dell’armonizzazione normativa…
Qui rimangono aperti quattro grandi cantieri: quello dello sport sociale, dell’agricoltura sociale, dell’impresa culturale e della cooperazione allo sviluppo. Quattro ambiti in cui sussistono previsioni del Codice non raccordate con le normative di settore emesse dai Ministeri competenti. Dobbiamo giungere ad un quadro regolativo unitario e alla previsione di un trattamento incentivante e agevolativo solo in presenza di una chiara rilevanza sociale delle iniziative.
Questa agenda è quella che state portando avanti al tavolo con il Governo?
Sì, questa è l’agenda sul tavolo di confronto con il Governo e il Ministero, un’agenda di condivisione delle priorità e delle criticità ma anche di approfondimento delle questioni di merito sui singoli temi.
Il vicepremier Luigi Di Maio però spesso, come nell’intervista rilasciata a VITA, ventila l’ipotesi di mettere mano alla Riforma. Cosa significa?
Giudico i fatti. Stiamo lavorando con il Ministero per completare il quadro della riforma apportando tutte le correzioni che riteniamo facciano bene al nostro mondo e rendano più efficace e funzionale il nostro lavoro. Troviamo ascolto e interlocuzione. Ovviamente non ci aspettiamo che venga accolto tutto quello che portiamo sul tavolo, ma che venga discusso e approfondito. Il completamento della riforma è un percorso ancora lungo, anche tenendo conto che si tratta di regolare un sistema di pratiche che si è sedimentato in decenni. È un lavoro delicato, non solo di ingegneria normativa, ma da realizzare con un costante confronto con le realtà e le pratiche per evitare da un lato di ‘spiazzare’ parti importanti dell’architettura sociale del nostro Paese e per cercare, dall’altro, di creare le migliori condizioni per fare crescere anche le esperienze emergenti dimobilitazione civica e sociale.
A proposito di nuove forme, stiamo assistendo ad una forte crescita ccupazionale dell’impresa sociale. È una sorpresa per voi?
L’impresa sociale ha grandi spazi di sviluppo. Rappresenta lo strumento ideale non solo per trasformare parti di attività di soggetti esistenti, ma soprattutto per dare forma al protagonismo civico e professionale delle nuove generazioni e consolidare partenariati tra diversi attori nelle comunità finalizzati alla promozione del benessere sul proprio territorio. In questa visione il solo strumento normativo non è sufficiente, occorre anche un investimento in formazione.
In che senso?
Serve un grande investimento sulle giovani generazioni in termini di cultura dell’impresa sociale. L’impresa sociale è qualcosa di diverso da un’impresa socialmente responsabile e anche da un’impresa che svolge un’attività di interesse generale. È un ‘modo’ delle comunità di utilizzare gli strumenti dell’economia per migliorare e sviluppare il proprio benessere collettivo. Far crescere imprenditori sociali è quindi cosa ben diversa dal formare imprenditori tout court. Abbiamo un grande bisogno di formare imprenditori sociali capaci di progettare lo sviluppo sostenibile delle nostre comunità e capaci di amministrare gli strumenti dell’economia “a finalità pubblica” al servizio di questa visione.