Secondo i dati del dossier Caritas nel paese oggi circa 13 milioni di persone vivono in condizioni di estrema necessità, mentre 3 milioni di bambini non possono frequentare la scuola. Solo nel 2017 il numero dei civili morti a causa dei bombardamenti è quadruplicato rispetto all’anno precedente, portando il totale a più di mezzo milione.
ROMA – Sono passati 7 anni dall’inizio della guerra in Siria. Ogni secondo, a partire da quel 15 marzo 2011, ha aggiunto dolore e disperazione a migliaia di persone. Stando ai dati, nel paese oggi a causa del conflitto in corso circa 13 milioni di persone vivono in condizioni di estrema necessità, mentre 3 milioni di bambini non possono frequentare la scuola. Solo nel 2017 il numero dei civili morti a causa dei bombardamenti è quadruplicato rispetto all’anno precedente, portando il totale a più di mezzo milione e circa il doppio di feriti e i mutilati. Per questo in occasione del settimo anniversario, Caritas Italiana pubblica il Dossier con Dati e Testimonianze “Sulla loro pelle. Costretti a tutto per sopravvivere” con l’obiettivo di approfondire la cause dietro i conflitti odierni e fare da cassa di risonanza del messaggio di papa Francesco dello scorso 25 dicembre: “Possa l’amata Siria ritrovare finalmente il rispetto della dignità di ogni persona, attraverso un comune impegno a ricostruire il tessuto sociale indipendentemente dall’appartenenza etnica e religiosa”. Nello specifico, il dossier ricorda che la guerra in Siria viene fatta iniziare il 15 marzo 2011, quando nella capitale Damasco e in un’altra città del Sud, Daraa, scoppiò un’ondata di proteste, la cosiddetta “primavera siriana”, a causa dell’arresto di alcuni giovani colti dalla polizia mentre dipingevano graffiti contro i presidente Al-Assad. Eppure il suo inizio dovrebbe essere spostato indietro nel tempo, a partire dai primi anni 2000, quando Al-Assad avviò quella liberalizzazione dell’economia che ebbe catastrofiche conseguenze sulla popolazione: una fra tutte la sostituzione delle colture tradizionali con grano e cotone. “La guerra continua a uccidere – si legge nel rapporto-. E che ci si trovi nella propria terra o in altre nazioni, uomini, donne e bambini sono costretti a pagare un prezzo altissimo per sopravvivere, spesso attraverso le negative coping strategies (strategie negative di risposta), quei comportamenti dannosi – per loro stessi o per le proprie famiglie – che le vittime dei conflitti mettono in atto per superare le vulnerabilità indotte dalla guerra. Lavoro minorile, matrimoni precoci, prostituzione, minori venduti dalle loro stesse famiglie, indebitamento, svendita dei beni, ingresso in circuiti illegali. Sono tutte risposte estreme di chi è costretto a sopravvivere alle conseguenze di una guerra, come quella in Siria, combattuta sulla propria pelle direttamente o per procura dalle potenze di tutto il mondo”.
Secondo Caritas, in questi sette anni sono stati commessi degli “errori strategici” all’interno della cosiddetta “comunità internazionale”, il più grave dei quali riguarda l’aver gettato benzina sul fuoco, da una parte e dall’altra: armando e finanziando gruppi di opposizione o formazioni terroristiche, credendo che Assad sarebbe capitolato dopo poche settimane, come fu per Ben Alì o Mubarak, o nel giro di qualche mese come fu per il libico Gheddafi protesta contro il regime, fino a determinarne l’isolamento totale. Nel caso della Libia ci fu invece una pesante interferenza esterna, una “ingerenza a fini umanitari” con un’azione bellica esplicita, condotta dall’aviazione militare di un’ampia coalizione di Paesi, che pose fine al regime di Gheddafi creando le condizioni per una sua sconfitta sul campo. Nel corso del 2011 in Siria mancarono entrambi questi aspetti – sottolinea il report -: mancò “la saggezza e la lungimiranza” nel lasciare che un moto rivoluzionario di una parte di popolo compisse il suo percorso, fino all’eventuale caduta del regime; e mancò l’interventismo e il barlume di multilateralismo, ancorché imperfetto, che aveva caratterizzato gli interventi pur disdicevoli e nefasti nelle conseguenze, messi in atto dalla comunità internazionale nella gestione delle crisi umanitarie degli ultimi venti anni, dall’ex Jugoslavia all’Iraq, alla Libia. “La comunità internazionale, di fronte a ciò che stava accadendo in Siria nel 2011, scelse la via forse peggiore: un’apparente non intromissione diretta, che però celava un lavoro nell’ombra, scoordinato e autonomo dei servizi segreti di mezzo mondo, occidentale e arabo – continua il dossier Caritas -. Ognuno per i propri interessi geopolitici confidava in una facile disfatta di Assad o ne sosteneva la resistenza al potere; e per questo pensava bene di trasformare un moto rivoluzionario pacifico in una “guerra civile per procura”, sempre più combattuta da mercenari, miliziani, fanatici e integralisti venuti dall’estero”. Si è lasciato proliferare, alimentandolo, un integralismo jihadista a cui è stato permesso di conquistare e governare indisturbato territori e città con milioni di abitanti, come Al Raqqa e Mosul, fino ad arrivare al punto di doverle radere al suolo per poterle “liberare”, dopo tre anni sotto il califfato del terrore. “Il proliferare dei gruppi terroristici jihadisti, sostenuto anche dallo stesso Assad che aveva tutto l’interesse a confessionalizzare la rivolta – si legge ancora – oltre ad aver causato sofferenze indicibili alle popolazioni siriana e irachena, ha definitivamente schiacciato quel poco che rimaneva del moto rivoluzionario iniziale”. L’onda lunga di questa confessionalizzazione ha raggiunto il suo apice con l’affermazione dello Stato islamico, nel frattempo i siriani cadevano sempre più in quel “buco nero geopolitico”, vittime inermi di un dramma senza fine, più grande di loro.
A questo punto qual è la soluzione? Caritas ricorda che ventitré risoluzioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, gli innumerevoli comunicati stampa e dichiarazioni, non solo non sono bastati a porre fine al conflitto, ma non sono serviti a creare le condizioni affinché si potesse offrire una adeguata assistenza umanitaria alle vittime civili. “Guardando ai fatti dei primi mesi di questo 2018, sembra che lo scenario che vede l’esaurimento dei combattenti sia sempre più vicino, massacro dopo massacro – si legge -. Dopo sette anni di massacri e distruzione, la situazione in Siria ha ormai superato qualsiasi livello di accettabilità; non ci sono più proposte o appelli che possano sembrare credibili o che non siano già state formulate e pubblicizzate”. Per questo viene ricordata ancora una volta la campagna della rete Caritas Peace is possible, lanciata nel 2016: “ci rivolgiamo in particolare ai governi nazionali, perché sono loro, con i rappresentanti seduti nei consessi delle istituzioni internazionali, che possono mettere o meno la parola fine a questa tragedia”. Caritas Italiana rivolge quindi un appello alla comunità internazionale, all’Unione Europea e in particolare all’attuale e al futuro governo italiano: che, tra le tante priorità, non si rimanga indifferenti al dramma del popolo siriano. “Nel rivolgerci al governo e ai decisori politici, non vogliamo però sollevare dalle proprie responsabilità ogni singola cittadina e cittadino italiano: se ognuno facesse la sua parte, se il rispetto dei diritti umani, della pace e del valore della vita fosse una priorità per ognuno di noi, i parlamenti e i governi sarebbero più sensibili e ricettivi alle proposte e alle campagne della società civile”.
Tra i risultati auspicati: il raggiungimento di un immediato cessate il fuoco, come condizione preliminare per assicurare protezione alla popolazione civile; il coinvolgimento della società civile siriana e di rappresentanti di tutta la popolazione nei colloqui di pace; la promozione e il sostegno di una coesistenza pacifica tra le varie comunità di differenti religioni ed etnie: “le minoranze religiose ed etniche sono da sempre una parte integrante della società siriana. La preservazione di questa diversità e la protezione delle minoranze sono elementi chiave per una pace futura”. Dall’inizio della crisi siriana Caritas Italiana è attiva − in coordinamento con la rete Caritas che ha costituito un gruppo di lavoro, il Syria Working Group − per il supporto a Caritas Siria nella pianificazione e l’implementazione degli interventi a sostegno della popolazione locale e dei profughi siriani nei Paesi limitrofi (Libano, Giordania, Turchia, Grecia). Un impegno complessivo di oltre 60 progetti in 8 Paesi (Siria, Libano, Giordania, Turchia, Grecia, Cipro, Macedonia, Serbia) per un totale di 4.872.000 euro investiti. I progetti riguardano i seguenti ambiti: emergenza, sociale-educazione, pace-riconciliazione, accompagnamento-formazione dei partner locali. Infine si sta avviando un progetto nazionale che vede coinvolti i giovani siriani con l’obiettivo di offrire loro opportunità di riconciliazione attraverso corsi di formazione professionale nel settore artistico. (ec)
Fonte Redattore Sociale
Foto Caritas Italiana