Tassa sulla bontà quell’idea marginale di non profit

Il Decreto semplificazione è stato approvato ieri anche dalla Camera, non si tratta come da noi già scritto di una cancellazione della cosiddetta Tassa sulla bontà, ma di un congelamento dei suoi effetti. Soprattutto, come qui spiega il professor Zamagni, resta il deficit culturale di chi l’ha pensata: l’idea di un non profit marginale
Il Decreto semplificazione è stato approvato ieri anche dalla Camera, non si tratta come da noi già scritto, di una cancellazione della cosiddetta Tassa sulla bontà, ma di un congelamento dei suoi effetti. L’agevolazione sull’Ires, infatti, rimane soppressa, ma se ne protraggono gli effetti. Purtroppo però del futuro nuovo sistema agevolativo non si sa né il cosa né il quando né il chi riguarderà. Certamente la norma sarà più restrittiva perché dovrà essere “eurocompatibile”. Soprattutto resta il deficit culturale di chi ha pensato di introdurla, come spiega qui il professor Stefano Zamagni.

Alla fine dello scorso dicembre, con la manovra finanziaria, il governo ha raddoppiato l’Ires agli enti del Terzo settore, con un’aliquota che è passata dal 12 al 24%.

La vicenda è la tipica buccia di banana sulla quale sono scivolate persone impreparate e incompetenti prese dalla smania di chiudere la partita della legge di Bilancio e far tornare i conti. Ma queste sono le cause prossime. Non si può spiegare quanto è accaduto invocando unicamente queste cause e le loro tre componenti: l’incompetenza, l’irragionevolezza e la fretta. Perché non possiamo limitarci a queste tre componenti? Perché, oltre a quelle prossime, ci sono le cause remote. Ed è lì che si gioca la partita cruciale.

Per farmi capire mi avvalgo di un’analogia con quanto è accaduto con la grande crisi del 2007-2008. Dinanzi alla “grande crisi” innescata dalla bolla dei mutui sub-prime i giornali, i commentatori, gli opinionisti e persino gli analisti si sono limitati a dire «è colpa della disonestà di qualche dirigente» o «è colpa dell’incapacità di vigilare da parte delle autorità preposte». La causa di questo fenomeno, importante ed epocale, è stata in tal modo attribuita a sviste o pessimi comportamenti individuali. Ci si è fermati alle cause prossime, celando di fatto quelle remote. Con quali conseguenze lo sappiamo.

Ecco perché, tornando alla questione “aumento dell’Ires”, non si può liquidare la partita dicendo “fretta”, “incapacità”, “stupidità”. Dobbiamo invece chiederci come sia stato possibile che persone che occupano posizioni di potere e hanno ruoli di prestigio politico, persone che siedono al governo, in una situazione emergenziale si siano fatte prendere la mano. C’era bisogno di 100 milioni? Potevano benissimo, e senza grande scandalo, caricarli sulle spalle di chi, di milioni, ne ha fin troppi.

La risposta che mi do è che, se vogliamo fare un discorso realmente culturale e non di mera superficie, occorre davvero riconsiderare il modo di concepire il rapporto, ancora dominante nel nostro Paese, tra società civile e società politica. Storicamente, queste due espressioni erano sinonimi: la koinonia di Aristotele corrispondeva alla civilis societas, non erano disgiunte. Poi, verso il XVII secolo, accade qualcosa e due visioni diverse di quel rapporto cominciano ad emergere.

Una prima visione, concepisce la politica come l’attività alla quale spetta di guidare la società in una determinata situazione e, quindi, fa coincidere la sfera del politico con quella del pubblico e la sfera del pubblico con lo Stato. È il Leviatano teorizzato da Thomas Hobbes. Allora è chiaro che, per questa concezione, il governo è come il consiglio di amministrazione di una grande impresa che deve sforzarsi di rendere compatibili le richieste che gli arrivano e far quadrare i conti. Dentro questa visione, che concepisce il governo come impresa, gli enti del Terzo settore sono a loro volta visti come il luogo degli interessi particolari. Gli enti del Terzo settore, per volontà del Leviatano-Stato, vengono lasciati liberi di agire, ma a condizione che non intralcino il lavoro degli apparati dello Stato. Sono “bravi” e il governo è “tollerante”, ma quando quest’ultimo ha bisogno di raggiungere determinati obiettivi — come nel caso dell’ultima manovra — questi enti devono mettersi da parte.

C’è poi un’altra visione del rapporto fra società politica e società civile. Questa visione, che è l’esatto opposto della prima, ha la propria origine in John Locke e non accetta che lo spazio pubblico sia tutto occupato dai partiti, che sono sicuramente degli attori necessari, ma non sono gli unici attori possibili. Per questa concezione, sul palcoscenico della sfera pubblica recitano infatti altri attori. E in ruoli di primo piano, come, appunto, gli enti del Terzo settore. È chiaro che, per questa visione, gli enti del Terzo settore non vanno “tollerati” per gentile concessione di Stato, ma devono essere riconosciuti nella loro autonomia con tutto ciò che questa autonomia comporta.

Ecco, allora, dove stanno le cause remote messe in luce dal problema-Ires: in Italia, nonostante il fatto che, da tempo immemore, soggetti del Terzo settore fanno il bene che tutti sanno, nonostante la dimensione e il riconoscimento raggiunto, nonostante tutto è ancora dominante nella sfera della politica (intesa in senso ampio) la prima concezione del rapporto fra società politica e società civile. Ne consegue che il sociale viene ricompreso da questa logica dentro uno schema da “amministrazione d’impresa”.

Risulta dunque evidente che episodi come quello dell’Ires sono destinati a ripetersi, perché il problema è alla radice. Sulla questione specifica il governo ha annunciato una retromarcia, a fronte delle tante voci che si sono levate. Ma il nodo rimane. di Stefano Zamagni

Fonte: www.vita.it

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