Pensiamo davvero che il deplorevole fenomeno della violenza sulle donne possa risolversi con la condanna in carcere dei suoi autori? Possiamo ignorare il fatto che il più delle volte il condannato esca dalla galera (è bene sapere che non farà mai il carcere a vita, neppure se omicida) più “incattivito” di prima, anziché rieducato? E possiamo continuare a far finta di non vedere che spesso il tragico epilogo di un rapporto malato si consuma proprio al momento della riacquistata libertà?
Non sono semplici supposizioni, è l’agghiacciante realtà. E viene spontaneo chiedersi a questo punto se la legislazione in materia presenti delle falle importanti: una di queste è data senz’altro dall’eccessiva concentrazione sulla vittima, ignorando che la vera attività di prevenzione riguardi soprattutto i carnefici. Le vittime esistono perché ci stanno uomini che non hanno strumenti relazionali adeguati. Uomini che conoscono solo i metodi repressivi per imporre la propria volontà. Uomini aridi di sentimenti che non si sono mai interrogati sui motivi della loro rabbia incontrollabile. Uomini violenti ai quali le donne fanno spesso ritorno.
Il convegno del prossimo 21 novembre, al Musmi di Catanzaro, promosso dal Centro Calabrese di Solidarietà in collaborazione con il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati, parte da queste premesse. “La maschera del mostro” – questo è il titolo prescelto- ambisce ad essere non solo un semplice incontro con autorevoli relatori (tra i quali Michele Poli, presidente del Centro Ascolto Maltrattanti (CAM) di Ferrara), ma un momento di confronto su una tematica forse mai affrontata in città. Quella degli uomini maltrattanti, appunto.
“Il nostro intento è quello di porre l’attenzione su un aspetto che non è solo correlato al fenomeno della violenza, ma che ne è alla radice – spiega l’avvocato Pietro Marino, accogliendo l’invito del Centro Servizi al Volontariato della provincia di Catanzaro a descrivere le motivazioni alla base dell’organizzazione dell’evento – In qualità di avvocato mi rendo conto che la risoluzione del problema non può essere demandata ad una condanna giudiziale. Si tratta di un fenomeno talmente trasversale che non può non richiedere un intervento del legislatore, atto a prevedere un’interconnessione necessaria tra l’autorità giudiziaria ed i servizi sociali preposti”.
Senza questa “interconnessione” l’avvocato Marino non avrebbe segnalato il caso di un cliente accusato di violenze, perpetrate a danno della propria compagna, allo Sportello Ascolto Maltrattanti di Catanzaro, gestito dal Centro Calabrese di Solidarietà, che per tale scopo ha siglato un protocollo d’intesa con l’Ordine degli Avvocati ed il Centro di Salute Mentale. Ed il suo cliente non avrebbe, così, spontaneamente intrapreso un percorso di “ravvedimento” che lo sta ancora mettendo in discussione, sia come uomo che come marito e padre. Tutta la famiglia, del resto, è parte integrante del processo di cambiamento che il maltrattante decide liberamente di perseguire, e viene costantemente informata delle varie “tappe” di cui esso si compone, a partire dai colloqui iniziali (che servono a comprendere se, a monte del comportamento violento, vi sia un disagio di tipo psichico o legato ad una dipendenza), per poi proseguire con l’inserimento in gruppi individuali e con l’eventuale confronto “a due” con la partner, al fine di ricucire il rapporto o di arrivare ad una separazione consensuale qualora sia l’unica strada percorribile per la serenità di entrambi. D’altronde, ogni attività tesa al “ravvedimento” del maltrattante si lega a doppio filo con quella a tutela della vittima e dei figli minori, di cui si fanno carico i centri antiviolenza come Mondo Rosa: “Lo Sportello Ascolto Maltrattanti è attivo dal mese di novembre 2016, e si inserisce nell’attività di Prevenzione a tutto tondo che il Centro Calabrese di Solidarietà svolge da anni in città – prosegue la pedagogista Cristina Marino, responsabile dello Sportello Ascolto – Ci siamo appositamente formati con la psicologa Alessandra Pauncz, che nel 2009 ha fondato a Firenze il primo Centro per gli uomini maltrattanti. Da lei abbiamo appreso quanto sia complicato far riconoscere agli uomini, che spesso minimizzano i loro comportamenti violenti, di avere un problema con le donne. La violenza – e per violenza non intendiamo solo quella fisica – finisce per essere un’abitudine, una sorta di normalità, perché essi non conoscono altri strumenti per vivere un rapporto in intimità. Ed anche se non siamo in possesso di dati scientifici sulla recuperabilità degli uomini maltrattanti, vale sempre la pena provarci”.
La cautela in questi casi è d’obbligo, ma fa ben sperare il fatto che il cliente seguito dall’avvocato Marino si stia continuando ad impegnare per recuperare la fiducia della compagna ed anche la stima dei figli, al fine di scongiurare il pericolo che essi crescano sulla scorta del suo cattivo esempio. Ciò non toglie che l’intervento di recupero, affidato a varie figure professionali, dovrebbe essere disposto per legge e non rilasciato alla sensibilità più spiccata di qualche professionista: l’incontro del 21 potrebbe essere l’occasione, quindi, per raccogliere proposte da inviare al legislatore, traendo spunto dalle svariate esperienze acquisite sul territorio in campo giuridico, familiare e sociale. Non possono esserci classificazioni, infatti, quando si affronta un tema trasversale come la violenza, che investe ogni classe sociale e non può essere prevenuta con sporadici corsi di alfabetizzazione affettiva nelle scuole.
Cambiare è possibile? Forse. Sicuramente si tratta di un percorso arduo, fatto di ricadute e ripensamenti. La violenza è una spirale, e chi lo è stato per cinquant’anni, fa di certo fatica ad adattarsi a modalità di confronto diverse. Soprattutto nelle fasi iniziali. Ma per ogni uomo maltrattante “rinsavito” c’è una donna che può continuare a guardare al futuro. E tanto basta per andare avanti.
Ufficio stampa CSV Catanzaro